L’attrice veste i panni di Rosa Balistreri in L’amore che ho, da maggio al cinema. L’abbiamo incontrata all’ultimo Riviera International Film Festival. «È stato un viaggio bellissimo poter raccontare un’eroina tragica del Novecento»
Poche settimane fa è uscito nei cinema italiani L’amore che ho, film diretto da Paolo Licata su Rosa Balistreri, cantautrice siciliana che nella sua vita ha lottato contro le ingiustizie per trovare la propria strada. A interpretarla, insieme ad altre tre attrici nelle diverse fasi della sua vita, è Donatella Finocchiaro. Anche lei, come Balistreri, si sente una guerriera, una donna determinata ad affermarsi. L’abbiamo incontrata all’ultimo Riviera International Film Festival. E a Sestri Levante ha fatto il punto con noi sulla sua carriera, in cui ha avuto la fortuna di seguire sempre il suo gusto artistico, anche nella difficoltà di conciliare il lavoro con l’essere madre.
Finocchiaro, Balistreri è stata una donna forte, che ha fatto la storia non solo nella sua Sicilia. Quanto è stato significativo interpretarla?
È stato un viaggio bellissimo poter raccontare un’eroina tragica del Novecento come lei. Era un’attivista politica, una femminista, una donna che ha difeso sempre le altre donne, quindi dimostrando sorellanza, ma anche i più deboli e gli emarginati. Ha lottato contro il potere e contro la Chiesa, attraverso le sue canzoni. Spero che questo film faccia conoscere la sua voce graffiante, ruvida, strabiliante. Interpretando anche i suoi brani, abbiamo cercato di restituire la sua anima e il suo temperamento. Un’artista ha una certa responsabilità quando impersona determinati ruoli. Ne abbiamo, e molta. Soprattutto noi attrici dobbiamo dare un colore ai personaggi femminili. Ci si stupisce quando si vede al cinema una donna forte. Ma noi possiamo essere materne, fragili, grintose al tempo stesso. Raccontarci non è facile, soprattutto quando a dirigerci e a scrivere determinate storie sono gli uomini.
Agli ultimi David di Donatello sono state premiate molte donne, Maura Delpero, Valeria Golino, Margherita Vicario. Un segnale che qualcosa sta cambiando?
Era ora. Io quest’anno ho girato tre film diretti da donne, tra cui Amata di Elisa Moruso, regista dalla grande sensibilità che ha saputo parlare con delicatezza di adozione. Con Costanza Quadriglio ho fatto il documentario su Luigi Pirandello. E presto uscirà anche Unicorni di Michela Andreozzi, in cui interpreto una madre con un figlio che vorrebbe essere una femmina. Un tema importante e molto attuale.
Nel 2011 aveva diretto il documentario Andata e ritorno. Pensa a nuova regia?
In questi ultimi due, tre anni ho scritto una sceneggiatura e adesso la sto facendo leggere. Devo trovare il tempo per dedicarmi a un progetto così, perché dovrei mettere da parte il mio lavoro di attrice. Due anni fa ho debuttato a teatro con la regia de La lupa di Giovanni Verga, di cui ero anche protagonista. A spingermi a farlo è stata Emma Dante. È stato impegnativo, una grande scommessa, ma bellissimo.
Esiste la solidarietà tra donne?
Io ho sempre percepito sorellanza da parte delle donne con cui ho lavorato e collaborato. Mi è accaduto in Taddrarite, scritto da Luana Rondinelli, un testo sulla violenza domestica. L’ho conosciuta per quel progetto e non ci siamo più lasciate. Abbiamo riscritto insieme La lupa. Anche in Michela Colmone, che mi fa da aiuto regia e coach – sia sul set che a teatro -, ho trovato un grande sostegno. Io credo che ci voglia una squadra, sempre. E in questo caso la mia è una squadra di donne. Abbiamo un gruppo su WhatsApp e, ogni volta che abbiamo un nuovo progetto, ci scambiamo idee e spunti artistici, ma parliamo anche della nostra vita privata.
Che bilancio fa del suo percorso artistico lungo oltre vent’anni?
Ci sono ancora tante cose che voglio fare. Mi piacerebbe essere diretta da Pedro Almodovar e Quentin Tarantino. Di certo, non mi sento arrivata. Sono stata fortunata. Ho continuato a lavorare, anche se il cinema ultimamente sta vivendo un momento difficile. Non esistono solo i lustrini e il glamour nel nostro mestiere. La crisi è forte. Le piccole e medie produzioni non lavorano. Il cinema indipendente, come le opere prime e seconde, fanno fatica. Io posso dire di aver resistito in questo periodo storico drammatico. Sono felice di aver avuto sempre la possibilità di seguire il mio gusto, il mio senso estetico e di bellezza nel mio percorso artistico.
E prossimamente cosa farà?
Ho dei progetti in ballo, che mi potrebbero portare lontana da casa per un po’. Non è semplice conciliare il lavoro con l’essere madre. Ho una figlia di 10 anni che a settembre andrà alle medie. Ho rifiutato due spettacoli teatrali che mi avrebbero portato fuori quattro mesi. Non me la sono sentita di stare così lontana da lei, soprattutto in questo suo momento di crescita. Quando era più piccola, la portavo sempre con me. Era la mia mascotte. Ora, andando a scuola, è più difficile. Ma è anche giusto che capisca che non si può vivere solo di rinunce. I figli devono avere delle madri che hanno il desiderio di stare in questo mondo e sentirsi realizzate, senza che manchi la nostra presenza, il contatto fisico, le carezze.
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