Regista e videomaker, ripercorre le strade della prima repubblica libera nera ascoltando le voci di insegnanti, operatori sociali e bambini in un contesto di povertà estrema «Le barriere, costruite per difendersi dalle gang sono l’aspetto più drammatico»
Si intitola Figli di Haiti l’ultimo documentario prodotto da Fondazione Avvenire e realizzato dal regista Alessandro Galassi. L’opera, in uscita a settembre, è stata ideata per dare un sostegno concreto all’orfanatrofio Maison des Anges che, dopo aver subito violenza da parte delle gang locali, è stato costretto a fuggire nell’Artibonite per continuare a garantire un impegno di ospitalità e istruzione ai bambini orfani. «Haiti – spiega Galassi – è il simbolo della periferia del mondo, quest’anno celebra i duecento anni dal debito che il paese ha pagato alla Francia per avere la libertà». Dopo lo studio sulla condizione socioeconomica e politica del paese, Galassi, a bordo di un aereo messo a disposizione dalle Nazioni Unite – nella capitale non arrivano voli -, è sbarcato ad Haiti. «Oggi il paese è completamente in mano alle gang, create dalle élite del paese per proteggersi, è anche un hub strategico per il traffico di droga e organi dalla Colombia agli Stati Uniti», racconta il regista. Galassi, che ha già percorso le strade di altre periferie difficili – dal Messico all’Afghanistan -, dice: «Haiti è tra le realtà più pericolose che abbia incontrato fino ad ora perché mancano regole e anche l’ingresso per i reporter è complicato perché non ci sono limiti, le gang lasciano il paese in un totale stato di ingovernabilità. Di notte non è possibile uscire, ci sono proiettili vaganti e tutt’intorno c’è una situazione di povertà estrema, gli sfollati occupano ogni spazio possibile per sfuggire alla violenza e vivono senza nessun tipo di aiuto umanitario». Non è solo la condizione economica a creare disagio. A seguito del terremoto del 2010, ancora tante persone vivono uno stato psicologico drammatico: «Ho incontrato operatori che lavorano in questo senso proprio per cercare di arginare l’emergenza», spiega. Eppure, davanti a uno scenario così lacerato, che rende Haiti il simbolo per eccellenza delle periferie del mondo, c’è ancora un aspetto – se vogliamo – più drammatico. «La quasi totalità delle persone vive in povertà assoluta, non ha cibo. Ormai, non c’è un dislivello. Nonostante questo, le famiglie si autotassano per raccogliere soldi necessari alla costruzione di cancelli utili a chiudere le strade per paura delle gang – aggiunge Galassi -, è singolare vedere come, quasi in un film distopico, la maggior parte della popolazione crea un nuovo sistema di potere. I cancelli vengono chiusi alle 18 per essere riaperti alle 6 dell’indomani: sono loro a decidere chi entra e chi esce da queste strade». Conclude: «Ad Haiti, invece di unirsi, ci si chiude».
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