In molti riconoscono il valore del sorriso, ma pochi investono nella prevenzione. Il risultato sono costi alti e problemi evitabili
Per oltre due italiani su tre, il sorriso è il primo biglietto da visita. Più dei capelli o dello sguardo. Eppure, quando si tratta di investire nella salute orale, la disponibilità economica crolla. Un sondaggio condotto da YouGov per una nota azienda specializzata nella cura dell’igiene orale, ha fotografato un paradosso. Gli italiani riconoscono l’importanza di una bella bocca sorridente senza però dedicargli attenzione e risorse adeguate. Lo dimostra l’attenzione al risparmio che emerge nella scelta degli strumenti quotidiani per la cura orale. Le caratteristiche tecniche contano, certo, ma il prezzo è decisivo per il 41% di chi acquista spazzolini e per il 38% di chi sceglie un dentifricio.
Meno di un caffè al giorno per prendersi cura della bocca
Secondo l’indagine, infatti, il 35% degli italiani spende al massimo 200 euro l’anno per mantenere sano e bello il proprio sorriso. Una cifra che equivale a circa 54 centesimi al giorno, meno di un espresso al bar. Troppo poco, se si considerano due sedute annuali di igiene professionale e i prodotti quotidiani per la pulizia orale. “Una spesa realistica si aggira tra i 400 e i 500 euro l’anno”, spiega il dottor Matteo Basso, odontoiatra e docente all’Università degli Studi di Milano. Il dato peggiora tra i più giovani: il 24% degli under 30 non sa quanto sia giusto spendere o dichiara apertamente di non voler investire nulla. A pesare sono sia i fattori economici che quelli motivazionali. Osserva ancora Basso, “anche se molti riconoscono il valore della salute orale, le priorità cambiano davanti al costo della vita, tra l’acquisto di un’auto, una vacanza o le cure dentistiche”.
Il peso della trascuratezza
Trascurare la prevenzione oggi significa spendere di più domani. Interventi complessi e patologie gravi diventano inevitabili quando si evitano controlli e igiene regolare. Come spiega Restituta Castellaccio, responsabile Ricerca e Innovazione di Curasept, “rivolgersi al dentista solo quando compare un problema è una scelta rischiosa e costosa”. Il prezzo da pagare è doppio: ricade sia sulle finanze individuali che sul sistema sanitario. In Italia, oltre 23 milioni di persone soffrono di carie, gengiviti e parodontiti, spesso in forma cronica. A livello globale, la salute orale rappresenta una delle principali voci di spesa sanitaria, alla pari di malattie cardiovascolari e diabete. Nei Paesi più ricchi, si stima che tra il 5 e il 10% della spesa sanitaria complessiva sia legata alla cura del cavo orale.
Il legame tra salute orale e benessere generale
Uno degli aspetti più preoccupanti riguarda la scarsa consapevolezza del legame tra salute orale e benessere generale. Quasi la metà degli italiani non sa che i batteri del cavo orale possono influenzare altre patologie dell’organismo. Ancora più ignorata è la xerostomia – la bocca secca – che oltre la metà degli intervistati non riconosce come una vera patologia. Il quadro è ancora più critico tra i giovani della GenZ, tra i quali la mancata conoscenza su questi temi è quasi doppia rispetto agli adulti. Questo conferma come l’informazione in materia sia ancora troppo confinata agli studi dentistici.
I costi della salute cattiva salute orale
In Italia, oltre 23 milioni di persone soffrono di problemi legati alla salute orale, come carie, gengiviti o parodontiti, molti dei quali sfociano in condizioni croniche. “A livello globale, osserva Castellaccio, i costi diretti e indiretti per la cura della salute del cavo orale sono una delle principali voci di spesa sanitaria, insieme a diabete e malattie cardiovascolari. In generale, nei paesi ad alto reddito, si stima che il 5-10% della spesa sanitaria complessiva sia dedicato alla salute orale. Una quota significativa che – sempre secondo Castellaccio – dovrebbe imporre un ripensamento delle strategie di prevenzione e trattamento.Infine, è interessante notare che il sondaggio evidenzia che l’80% degli italiani si affida al dentista per ricevere informazioni, mentre solo il 16% considera il farmacista una fonte attendibile. Eppure, una comunicazione più diffusa potrebbe fare la differenza.
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