Uno studio del MIT rivela che usare ChatGPT può compromettere memoria, creatività e attività cerebrale. Il rischio è non tornare più indietro
ChatGPT è una chatbot di intelligenza artificiale creato da OpenAI che può conversare, rispondere a domande, scrivere testi e aiutare con vari compiti utilizzando un linguaggio in apparenza naturale. Ma cosa accade in caso di un uso eccessivo? Un gruppo di ricercatori del MIT Media Lab, che ha studiato l’effetto dell’uso di IA sul cervello umano, è in grado di fornire una risposta. Lo studio ha coinvolto 54 persone impegnate a scrivere brevi saggi con 3 metodi diversi: usando ChatGPT, cercando su Google oppure facendo tutto da soli, senza aiuti esterni. I partecipanti sono stati monitorati con elettroencefalogrammi per registrare l’attività cerebrale in 32 aree diverse del cervello. I risultati sono stati giudicati molto interessanti per i risvolti a lungo termine.
Quando ChatGPT riduce l’attività del cervello
Secondo i ricercatori, il primo gruppo ha mostrato un’attività cerebrale significativamente più bassa rispetto agli altri due gruppi. In particolare, le onde cerebrali legate alla concentrazione, alla memoria e alla creatività erano ridotte fino al 55%. Il cervello, in pratica, ‘lavora meno’ quando si affida alla IA, soprattutto nelle aree legate al pensiero critico. Non è però solo una questione di numeri. I testi prodotti con l’aiuto dell’intelligenza artificiale sono infatti risultati meno originali, meno coerenti e meno personali. Gli insegnanti che li hanno valutati hanno parlato di elaborati ‘piatti’ e privi di anima. In altre parole, è come se con ChatGPT il cervello si spegnesse un po’. Come peraltro accade a tutti gli organi del corpo umano se non adeguatamente stimolati.
Attenzione al ‘debito cognitivo’ se si delega troppo
Uno degli aspetti più nuovi emersi dalla ricerca è quello del cosiddetto ‘debito cognitivo’. In sostanza, il cervello sembra ‘impigrirsi’ quando ci si affida costantemente all’intelligenza artificiale per svolgere attività intellettive. Tanto che l’uso eccessivamente frequente di ChatGPT tenderebbe a far perdere capacità di memoria e di apprendimento. Il motivo è peraltro intuibile: la mente non viene più stimolata a riflettere, creare, costruire connessioni. L’aspetto peggiore è che, anche quando i partecipanti sono tornati a scrivere da soli, l’attività cerebrale non è subito tornata ai livelli iniziali. È come se una parte del cervello, una volta abituata a delegare, facesse fatica a riattivarsi. Una dinamica che, nel lungo periodo, avvertono i ricercatori, potrebbe danneggiare le capacità cognitive naturali.
L’illusione della produttività e il rischio dipendenza
L’intelligenza artificiale può dare l’impressione di velocizzare il lavoro, di rendere tutto più facile e veloce. Ma l’effetto boomerang è nascosto dietro l’angolo. Secondo Nataliya Kosmyna, a capo dello studio del MIT, “ciò che perdiamo è molto più di qualche minuto risparmiato: si tratta della nostra capacità di pensare in modo indipendente”. Ma non è tutto. Da studi precedenti, sempre svolti dal MIT, è emerso che l’uso prolungato di ChatGPT cervello può generare una vera e propria dipendenza. Gli utenti più assidui mostravano sintomi simili a quelli osservati in chi fatica a staccarsi dai social network o dai videogiochi: ansia, agitazione, difficoltà a concentrarsi senza AI.
Esiste un uso sano dell’intelligenza artificiale
Un uso consapevole dell’IA può essere, al contrario, utile e privo di danni collaterali. Lo studio in questione, infatti, ha anche dimostrato che chi ha usato prima il proprio cervello e solo in un secondo momento ha richiesto l’aiuto di ChatGPT, ha mantenuto un buon livello di attività cerebrale. In questi casi, dunque, l’intelligenza artificiale non ha sostituito il pensiero umano, ma lo ha potenziato. Ciò che conta è bilanciare. L’IA può essere uno strumento utile, ma va usata con consapevolezza. Scrivere, riflettere, ragionare restano attività fondamentali per mantenere attiva la mente. Non solo per gli studenti, ma anche per gli adulti e per gli anziani, per i quali la stimolazione cognitiva è un fattore protettivo contro il declino mentale.
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