La quota di reddito dichiarata dagli anziani supera quella dei giovani. Più spesa per pensioni, sanità e assistenza. A rischio il debito pubblico
In Italia, la popolazione invecchia rapidamente e i numeri si adeguano: nel 2023, i contribuenti con più di 65 anni hanno dichiarato il 35% del reddito complessivo, contro il 24% di vent’anni fa. Nello stesso periodo, la quota dichiarata dai cittadini tra i 15 e i 44 anni è scesa dal 37% al 23%. A evidenziare il cambiamento è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, intervenuto ieri alla Camera davanti alla commissione parlamentare sulla Transizione demografica.
Troppi anziani, pochi contribuenti under 45
Un contesto aggravato dalle cifre delle proiezioni demografiche meridionali riportate ieri dallo stesso Giorgetti, che delineano un Sud sempre più spopolato e in difficoltà. In cui l’invecchiamento è ancora più rapido e il ricambio generazionale pressoché assente. Non si tratta solo di uno squilibrio generazionale, ma di un segnale di allarme sulle fondamenta economiche del Paese. “Nel 2004, i contribuenti sotto i 45 anni rappresentavano il 41% del totale. Oggi sono il 31%”, ha dichiarato il ministro, sottolineando il rischio di un fisco sempre più sostenuto da chi è prossimo o già in pensione.
Il peso crescente della spesa pubblica
Le conseguenze del calo demografico non riguardano solo le entrate, ma anche – e soprattutto – le uscite. Secondo le stime dell’INPS e della Ragioneria dello Stato, la spesa per le pensioni passerà dal 15,4% del PIL del 2023 al 17,1% nel 2040, rimanendo su questi livelli per tre anni prima di iniziare una graduale discesa. Solo nel 2050 tornerà sotto il 16%, per poi calare ulteriormente nei decenni successivi, quando gli effetti del sistema contributivo si faranno sentire in pieno. Ma non è solo la previdenza a crescere: a essere sotto pressione saranno anche la sanità e l’assistenza a lungo termine. Più anziani significa più bisogni sanitari e maggiore domanda di servizi sociali. Mentre diminuisce il numero di giovani che entrano nel mercato del lavoro e contribuiscono con le loro tasse al mantenimento del sistema.
Scuola e natalità in crisi
Un altro indicatore del cambiamento in corso riguarda il mondo dell’istruzione. Tra l’anno scolastico 2018/2019 e il 2022/2023, gli studenti sono diminuiti del 5,2%, con cali particolarmente evidenti nelle scuole dell’infanzia e primarie. L’unico elemento che mitiga parzialmente il fenomeno è l’aumento degli alunni con cittadinanza straniera e il leggero miglioramento del tasso di scolarità tra i 15-19enni. Secondo il ministro, il calo demografico impone una revisione della rete scolastica e dell’allocazione delle risorse, puntando sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Strutture, personale e spesa pubblica per l’istruzione dovranno essere ripensati alla luce di questa nuova realtà.
Baby boomer in uscita nel 2040, le misure del governo
Per affrontare il declino delle nascite – nel 2024 sono stati registrati solo 370.000 nuovi nati, con una media di 1,18 figli per donna – il governo ha introdotto una serie di misure: bonus per le nascite, riordino delle detrazioni fiscali per le famiglie, agevolazioni sui mutui per i giovani sotto i 36 anni e sostegni per i nuclei numerosi. Ma tutto ciò non basta. Il governo ha infatti annunciato l’intenzione di intervenire anche sull’occupazione femminile con detrazioni mirate, capaci di influire positivamente sull’offerta di lavoro da parte delle donne. In questo modo, ha spiegato il ministro nel suo intervento, è possibile favorire l’occupazione femminile in modo indiretto, e quindi sostenere la natalità. L’urgenza nasce anche dalla considerazione che gli effetti più incisivi della insostenibilità del sistema si manifesteranno nella prima metà degli anni Quaranta. Quando le generazioni dei baby boomers saranno ormai uscite dal mercato del lavoro.
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