Il decimo rapporto di Save the Children “Le Equilibriste” fotografa una maternità in crisi: calo delle nascite, child penalty e madri single a rischio povertà.
Una maternità sempre più difficile in Italia
Il decimo rapporto annuale di Save the Children, intitolato “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2025”, evidenzia le crescenti difficoltà che le madri italiane affrontano nel conciliare lavoro e famiglia. Il documento sottolinea come la maternità in Italia sia diventata una sfida complessa, soprattutto per le madri single, che rappresentano una delle categorie più vulnerabili.
Calo delle nascite e madri sempre più anziane
Nel 2024, l’Italia ha registrato un nuovo minimo storico di nascite, con soli 370.000 nuovi nati, segnando una diminuzione del 2,6% rispetto all’anno precedente. Il tasso di fecondità è sceso a 1,18 figli per donna, al di sotto del precedente minimo storico di 1,19 del 1995. L’età media delle madri al primo parto ha raggiunto i 32,6 anni, riflettendo un trend di posticipo della maternità.
Il divario occupazionale tra madri e padri
Il rapporto “Le equilibriste” evidenzia un significativo divario occupazionale tra madri e padri. Nel 2024, il tasso di occupazione per gli uomini senza figli era del 77,8%, salendo al 91,5% tra i padri.
Per le donne, invece, il tasso di occupazione scende dal 68,9% tra le donne senza figli al 62,3% tra le madri. Questo fenomeno, noto come “child penalty”, indica la penalizzazione economica e professionale che le donne subiscono dopo la nascita di un figlio.
Le madri single: una categoria a rischio
Le madri single rappresentano una delle categorie più vulnerabili dal punto di vista socioeconomico, esposte a un rischio di povertà più elevato rispetto ad altre tipologie familiari.
Oltre a doversi occupare in solitudine della cura e dell’educazione dei figli, spesso incontrano ostacoli significativi nell’accesso e nella permanenza nel mercato del lavoro. Attualmente, infatti, poco più della metà delle madri single nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni risulta occupata, una percentuale preoccupante che riflette la difficoltà di conciliare lavoro e genitorialità in assenza di un partner.
Nel frattempo, il numero delle famiglie monogenitoriali è cresciuto in modo considerevole: tra il 2011 e il 2021 si è registrato un incremento del 44%, passando da circa 2,65 milioni a oltre 3,8 milioni di nuclei. Di queste, ben il 77,6% è formato da madri sole con i propri figli, un dato che evidenzia quanto la maternità solitaria sia ormai una realtà strutturale del tessuto sociale italiano.
Le proiezioni demografiche indicano che, entro il 2043, il numero di madri sole potrebbe raggiungere quota 2,3 milioni. Ciò rende urgente un ripensamento delle politiche di sostegno per queste famiglie.
Le regioni “mother friendly”
Il rapporto include l’Indice delle Madri, elaborato in collaborazione con l’Istat, che classifica le regioni italiane in base alla qualità della vita per le madri.
Ai primi posti si trovano la Provincia autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Toscana. La Basilicata si posiziona all’ultimo posto, preceduta da Campania, Puglia e Calabria. Queste disparità riflettono differenze significative nell’accesso ai servizi per l’infanzia e nelle opportunità lavorative per le madri.
Proposte per ridurre la “child penalty”
Il rapporto di Save the Children avanza alcune proposte concrete per affrontare la cosiddetta “child penalty”, ovvero la penalizzazione lavorativa ed economica che colpisce molte donne dopo la nascita di un figlio. Tra le misure indicate, un ruolo centrale è affidato all’investimento nei servizi per l’infanzia, considerati uno strumento chiave per favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Secondo una stima elaborata dal think-tank (gruppo di studio n.d.r.) Tortuga, una riduzione del 30% dei costi sostenuti dalle famiglie per l’accesso a nidi e scuole per l’infanzia permetterebbe di abbassare il divario occupazionale tra madri e padri dal 33% al 27,6%. Se invece i costi venissero quasi azzerati, con una riduzione del 90%, il gap scenderebbe fino al 16,8%.
Questi dati mostrano chiaramente quanto il peso economico dei servizi educativi incida sulle scelte lavorative delle madri. E quanto influenzi negativamente le loro possibilità di mantenere o intraprendere un percorso professionale dopo la maternità. Interventi mirati in questa direzione potrebbero quindi rappresentare un passo decisivo verso una maggiore equità di genere.
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