La suggestione di un non-luogo e le parole che disegnano intriganti geografie. Un libro dell’editore Carocci e una collana de Il Saggiatore riscoprono la magia della pagina che diventa mondo
In apertura della prima edizione de L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, pubblicata nel 1883, compare una mappa. Un’isola quasi quadrata, con un tozzo promontorio a nord e una profonda intaccatura ricurva a sud. E una X, grande e grossa, a indicare il nascondiglio del tesoro intorno a cui ruota tutta la storia. Vuole un aneddoto che Stevenson sia rimasto folgorato da un quadro a cui lavorava il figlio adottivo, Lloyd Osbourne, futuro scrittore e allora appena tredicenne: un esercizio di fantasia che al romanziere in cerca di ispirazione dischiuse un mondo. Dalla mappa dell’isola, presto riempita di nomi e di dettagli, nacque la storia del giovane Jim e di Long John Silver e poi il libro che avrebbe decretato la fortuna di Stevenson. Una mappa inventata, dunque, ma così precisa e verosimile da essere stata accostata, nel tempo, a vari luoghi reali, in particolare alla Norman Island nell’arcipelago delle Isole Vergini Britanniche. Individuare la vera collocazione geografica dell’isola ha, peraltro, tutta l’aria di un gioco ozioso: molto più importante è il potere che la mappa ha esercitato sull’immaginario collettivo. L’isola del tesoro è diventata un luogo dell’anima, un archetipo geografico capace di catapultare chi ne legge – e poi immagina – in una dimensione di cappa e spada, di pirati, galeoni, pennoni armati di vele quadre e sventolanti Jolly Roger. La mappa dell’isola è un luogo-non luogo: un posto che non esiste nella realtà, ma occupa un angolo nella mente di tutti. E non è l’unica “geografia letteraria” a sprigionare questo potere. Alcuni libri sono in grado di ridisegnare la geografia, di alterarla e poi farla sembrare più vera del vero, di costruire realtà parallele che ci affascinano tanto quanto la nostra, e a volte di più. Si pensi alle avventure di Don Chisciotte nelle contrade della Spagna o alle peregrinazioni sospese tra il reale e il fantastico dei cavalieri di Ariosto e Boiardo, si pensi a I viaggi di Gulliver e a Robinson Crusoe: libri in cui l’elemento spaziale è cruciale al punto da richiedere quasi immediatamente l’aggiunta di mappe come parte integrante del testo. Diverso è il caso di Utopia, la celebre opera di Tommaso Moro, o della Carte du Pays de Tendre, ispirata al romanzo Clelie, histoire romaine di Madame de Scudery, la regina dei ’preziosisti’ francesi del Seicento: qui le geografie immaginarie hanno un evidente significato simbolico. Nel primo caso l’isola di Utopia riassume le caratteristiche della città ideale, nel secondo, il paese di Tendre trasforma in luoghi, più o meno accessibili e ospitali, le pulsioni e i sentimenti dell’animo umano, e più precisamente i pregi dell’amicizia e le insidie dell’amore. Fintamente realistici o scopertamente simbolici, non è una coincidenza che i libri di viaggio e di avventura proliferino in concomitanza con l’epoca delle grandi scoperte geografiche, tra la fine del Quattrocento e l’Ottocento: le mappe letterarie ricalcano le fattezze delle prime carte rudimentali e dei primi atlanti, ma al tempo stesso sconfessano i modelli, li deformano per rivendicare uno spazio esclusivo della fantasia, che può essere solo inventato e mai scoperto.
A riaccendere i riflettori su questo piccolo patrimonio di immaginazione e rappresentazione ha provveduto, all’inizio di quest’anno, la casa editrice Il Saggiatore, inaugurando una collana che raccoglie le mappe ricavate da alcuni grandi classici della letteratura universale: non solo L’isola del tesoro, Robinson Crusoe, l’Odissea, Moby Dick, ma anche il Candido di Voltaire, Orgoglio e pregiudizio, Frankenstein e Dracula. I disegni, in formato A3, sono realizzati dall’illustratore svedese Martin Thelander: colori sgargianti, dovizia di particolari e mappe testuali di frasi direttamente estratte dai libri in questione rendono concreto il paesaggio letterario evocato in pagine indimenticabili. A chiudere il cerchio ci pensa il saggio Geografie immaginarie, pubblicato dall’editore Carocci, in cui lo storico francese Roger Chartier, professore emerito al Collège de France e già docente di Scritture e Culture dell’Europa moderna, compone una piccola rassegna di carte geografiche contenute in romanzi più o meno famosi apparsi in Spagna, Francia, Inghilterra e Italia tra il XVI e il XVIII secolo. Le mappe esaminate nel saggio non sono ricavate a posteriori dai testi, ma già presenti nell’edizione originale dei romanzi oppure aggiunte (dall’autore o dallo stampatore) a partire da un certo momento della loro storia editoriale. Sono cioè mappe ‛interne’, pensate fin da subito come un elemento inscindibile dalla scrittura. Se la cartina de L’isola del tesoro di Stevenson è ancora una volta l’esempio di scuola, Chartier rintraccia l’origine del filone in un’edizione del 1525 del Canzoniere di Petrarca, in cui è rappresentato il percorso che porta il poeta e l’amata Laura a incontrarsi per la prima volta.
Pur lontani nel tempo, questi voli della fantasia rispondono a una necessità stringente della nostra età “fuori sesto”: evadere in mondi in cui il disordine è solo fittizio, in cui il succedersi rocambolesco delle peripezie ha l’unico effetto di ammaliare e divertire. Carocci e Il Saggiatore compiono quasi un atto magico: puntando sull’inattuale, riscoprono il legame arcano che unisce il segno al sogno.
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