Addio a Nino Benvenuti. La leggenda del pugilato ci ha lasciati ieri all’età di 87 anni. Chi era il campione olimpico di Roma 1960. Il ricordo nelle parole di Francesco Damiani, ex campione del mondo dei pesi massimi: “Quella di Benvenuti è una grave perdita, mi dispiace molto: lascia un grande vuoto nel pugilato”.
Si chiamava Giovanni. Fu campione olimpico alle Olimpiadi di Roma 1960, campione del mondo nei pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi tra il 1967 e il 1970. In Italia Nino Benvenuti “è” il pugile, lo è stato e continuerà ad esserlo, anche ora, dopo il suo addio. Dietro di lui una storia molto complessa, commovente, di riscatto, che si intreccia con quella con la s maiuscola del nostro Paese. Benvenuti, l’unico pugile italiano ad aver detenuto il titolo mondiale unanimemente riconosciuto di due categorie di peso, medi e superwelter, lascia un grande vuoto.
Gli inizi in Istria, l’esodo e la fuga a Trieste
Nato il 26 aprile 1938 a Isola d’Istria – oggi territorio della Slovenia – Nino Benvenuti ha trascorso l’infanzia in una famiglia numerosa e agiata. Intorno ha la fortuna di avere un ambiente vivace fatto di pescherie, dialetti locali, giochi all’aperto e vita marinara. Purtroppo però tutto sparisce nel dopoguerra, quando il Maresciallo Tito, leader della Jugoslavia comunista, avvia una brutale campagna di espulsione degli italiani dall’Istria. Confische, intimidazioni, sparizioni e morte finiscono per distruggere quella serenità.
“La polizia politica jugoslava venne a casa nostra. Arrestarono mio fratello Eliano, che aveva la poliomielite. Non seppero dirci perché. Tornò mesi dopo, con i capelli ingrigiti. Non fu mai più lo stesso”, racconterà Nino Benvenuti. La madre morirà poco tempo dopo di crepacuore a causa di tutto questo. Fuggita a Trieste, la famiglia si lascia alle spalle ogni cosa. Storia, averi, radici: tutto sparisce. Ed è a Trieste che Benvenuti trova nella boxe una via di fuga, oltre che un grande talento naturale. Il ring diventerà il suo modo per riscattare non solo se stesso, ma un’intera comunità – quella istriana – derubata della propria identità.
L’Oro a Roma 1960, il riscatto di un ragazzo e di un popolo
Il 1960 risuona ancora con l’eco delle Olimpiadi di Roma, dove un giovane Nino Benvenuti conquista la vetta nei pesi welter. Un boato di gioia attraversa la folla, il padre che lo stringe forte, bandiere istriane che sventolano. Quella vittoria non era solo un successo sportivo; era il culmine di un lungo riscatto. Un riscatto personale, quello di un ragazzo che aveva conosciuto troppi drammi. La brutalità della guerra, la pena della prigionia di suo fratello, il lutto per la madre e l’amarezza dell’esilio. Ma era anche, in modo più profondo, la redenzione di un intero popolo.
Benvenuti non ha mai dimenticato. Anche se la boxe è stata la sua seconda patria, la ferita dell’Istria non si è mai rimarginata. E sebbene confessasse amaramente che “a noi italiani d’Istria è stata negata la memoria, la dignità, persino l’esistenza”, non ha mai cercato “vendetta”. Ma memoria, quella di chi aveva visto guerre terribili, di chi ha conosciuto davvero l’odio e che alla fine ha scelto la via del riscatto, del racconto, della condivisione. Motivo per cui nel Giorno del Ricordo, stabilito per legge ogni anno il 10 febbraio per ricordare i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata, la sua voce è stata più forte che mai.
Addio a Nino Benvenuti, il pugile ‘esule’ con una ferita sempre aperta
La vicenda di Nino Benvenuti trascende la semplice biografia sportiva; è intrinsecamente legata alla sorte di un “popolo dimenticato”. La sua storia è la prova tangibile che la resilienza, la capacità di rialzarsi e di vincere sono possibili, nonostante ogni avversità. È una narrazione che merita di essere tramandata, perché lascia un’impronta profonda, proprio come i suoi colpi sul ring. Benvenuti non è solo un pugile leggendario, ma la voce di un’intera comunità: gli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia. Queste persone furono sradicate dalla loro terra, ignorate per decenni, perseguitate prima dalle brutalità della Storia e poi dall’oblio. “Ci chiamavano esuli, ma noi eravamo solo italiani”, affermava Benvenuti, e per lui, e non solo per il campione del pugilato italiano, quella parola, “esuli”, rappresentava una ferita tuttora aperta.
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