Un colpo di pistola, la condanna all’ergastolo perché «da questa sedia non mi alzerò più». La sua testimonianza diventa una biografia romanzata: Mia o di nessun altro
«Sono Filomena Di Gennaro, ma mamma mi ha fatto sempre chiamare Milena. Quello all’anagrafe è un omaggio alla nonna paterna. Come si usa al Sud. Ho 47 anni, sono sposata, ho tre figli e vivo su una sedia a rotelle anche se non sono nata paraplegica. La mia vita è cambiata improvvisamente quando il mio ex fidanzato ha cercato di uccidermi e un proiettile ha lesionato il midollo spinale».
Filomena Di Gennaro oggi è una testimone molto attiva nei progetti di educazione e contrasto alla violenza di genere e pensa a tutte le donne che ancora vengono ammazzate da chi diceva di amarle. E la lista è purtroppo lunga. Ma facciamo un passo indietro, cominciando dalla sua vita, prima dell’impegno civile. Originaria di Stornarella, un piccolo paese in provincia di Foggia, la donna si trasferisce a Roma a 19 anni per studiare Psicologia, laureandosi nel 2003. Nel 2005 vince il concorso nell’Arma dei Carabinieri, in un periodo in cui pochissime donne si affacciavano a questo mondo. E inizia con orgoglio e il luccichìo negli occhi il corso per diventare maresciallo: «Indossare la divisa – dice in premessa – era il grande sogno che coltivavo sin da bambina. Amavo l’idea di poter aiutare le persone, ci sono o, meglio, ci ero arrivata tardi per gli standard ma solo perché prima avevo preferito completare gli studi. In quel periodo, mi sentivo finalmente realizzata e felice».
Quella felicità però è durata troppo poco. Come i fuochi d’artificio che si dissolvono nell’aria. Il 13 gennaio 2006 la sua vita cambia per sempre. Marcello Monaco, l’ex fidanzato con cui aveva avuto una relazione di dieci anni, la raggiunge a Roma dalla Puglia armato di pistola e terribili intenzioni: «Il nostro rapporto – continua – era andato avanti per abitudine. Viaggiavamo su binari diversi. Io avevo tanti progetti e voglia di vivere, lui aveva pochissimi obiettivi e scarsissima voglia di lavorare. Faceva ciò che gli veniva più comodo. Quando ho deciso di lasciarlo, mi scrisse che tutto il male che gli stavo facendo si sarebbe trasformato in odio. Purtroppo però, come spesso accade, non ho mai pensato al peggio. Anzi, non lo lasciai con un messaggio e mi premurai perfino di parlare anche con la sua famiglia rispettando ciò che avevamo vissuto insieme negli anni. Anni in cui ancora non erano chiari i nostri obiettivi e per la scarsa maturità, non capisci ciò che ti aspetti da una relazione». Ma covava il risentimento. Quella fredda giornata d’inverno, dopo le festività, la giovane accetta un ultimo chiarimento per strada, davanti casa sua: «Non mi aveva mai alzato le mani – precisa -. Pensavo di conoscerlo. Aveva l’aria di bravo ragazzo. Niente di più sbagliato. Con il senno di poi. Dopo aver discusso mi sono catapultata fuori dalla macchina per raggiungere il portone di casa. Non ce l’ho fatta e il mio ex fidanzato ha continuato a spararmi contro dopo avermi urlato una frase che difficilmente dimenticherò, “O mia o di nessun altro”». A salvarla è stato l’intervento provvidenziale del comandante della Scuola per allievi marescialli di Velletri che, sapendo di quell’incontro e avendo colto segnali strani, aveva deciso comunque di raggiungerla: «In quegli attimi – ricorda – pensai di non farcela. Oggi porto i segni di quello che io chiamo il mio ergastolo perché da questa sedia non mi alzerò mai più. Ma ringrazio il cielo perché molte donne una seconda possibilità non l’hanno avuta e sono sottoterra».
Filomena da quel gennaio tragico si riprende. Il suo ex fidanzato viene condannato a 11 anni ma ha scontato realmente pochissimi anni. Nota positiva? Fortunatamente scopre il vero amore in colui che ha cambiato il corso della storia, il comandante, Peter Forconi Pace, con cui ha costruito una splendida famiglia: è lui che la incoraggia giorno dopo giorno: «Non ho mai ricevuto delle scuse. Mai. Nessun segno di pentimento. Sulla giustizia poi – afferma – in Italia potremmo aprire un dibattito infinito ma oggi preferisco dosare le mie energie per altro. Da anni, con il sostegno dei miei, mi dedico a portare la mia testimonianza nei progetti di educazione, legalità e contrasto alla violenza di genere. Del resto, la violenza sulle donne e il femminicidio riguardano tutti noi: nessuno può ritenersi estraneo al fenomeno. L’unica arma che abbiamo è la prevenzione, attraverso l’educazione dei più giovani. E per questo vado nelle scuole e dovunque vogliano ascoltare ciò che ho vissuto. E spesso capita che molti dopo avermi ascoltato raccontino la propria esperienza e trovino la forza di denunciare».
Il 25 novembre 2024, un anno fa, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è uscito il libro Mia o di nessun altro di Mirko Giudici, edito da Frascati & Serradifalco, che cristallizza il percorso della donna scampata alla morte: «È una biografia romanzata – conclude – che intreccia il mio vissuto emotivo e narrativo, ricostruendo la storia, il tentato femminicidio e le fasi della rinascita. Contiene anche interviste a esperti e riflessioni sui meccanismi culturali della violenza di genere. Non guadagno assolutamente nulla da questo libro. Lo considero semplicemente uno strumento per portare avanti una missione che ho scoperto nel secondo tempo della mia vita e che ha senso anche se molti dicono che ormai sono passati quasi vent’anni. Basta vedere i numeri delle donne zittite ogni anno per sempre».
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