Giuseppe Fanfani, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana, racconta la condizione degli istituti penitenziari tra problematiche e possibilità di intervento. «La politica deve essere lungimirante»
Sono sedici gli istituti penitenziari della regione Toscana, a questi si devono aggiungere altri due, le carceri minorili di Firenze e Pontremoli. Tra strutture medio grandi e strutture più piccole, con una differenziazione tra l’alta sicurezza e la media, oltre alle strutture destinate ai collaboranti, la popolazione carceraria toscana si aggira intorno alle 3.200 unità. «Il 50% di detenuti – spiega Giuseppe Fanfani, Garante dei detenuti della regione – è di origine straniera, il 35% ha problemi di tossicodipendenza. In una condizione simile, le modalità di gestione sono abbastanza difficili».
Fanfani, quali sono le principali criticità negli istituti di pena in Toscana?
Il sovraffollamento è la criticità che fa più effetto ma non è la più grave: abbiamo psichiatria in carcere, tossicodipendenza in carcere, il reinserimento al lavoro e la presenza di detenuti stranieri che crea problemi anche culturali e di dialogo tra le persone.
Quale, tra le carceri, ha maggiori difficoltà?
Certamente gli istituti con un numero alto di detenuti, quello di Prato – ad esempio -, che ne conta 580. C’è un turn over piuttosto veloce, soprattutto per chi è in custodia cautelare. Le carceri di Prato, quindi, di Sollicciano, di Livorno, Pisa e San Gimignano sono le più importanti, sia per quello che accade all’interno, sia per il numero di detenuti e sia per la loro gestione. Lo scorso anno abbiamo registrato undici suicidi e quattro quest’anno, avvenuti proprio in queste strutture.
Quanti sono i diritti maggiormente negati?
Le problematicità sono infinite. Il carcere ha la caratteristica di essere un’entità chiusa in cui si ripropongono tutti i problemi che possiamo riscontrare nella realtà ma con un’aggravante che – essendo sostanzialmente monastica – tutte le problematicità sono aggravate dal sistema claustrale che fa emergere le psicosi enfatizzandole. Se, secondo le indicazioni del Ministero, ogni detenuto ha diritto a uno spazio di 3 mq, già di per sé insufficiente, immaginiamo cosa voglia significare per queste persone vivere in cinque in una stanzetta di 15 mq, con questo caldo e con un bagno piccolissimo che – spesso – viene usato anche per conservare cibo. Ecco, proviamo a immaginare la condizione psicologica di chi sa che deve vivere in questo spazio.
Recentemente, l’onorevole Giachetti ha presentato una proposta per la liberazione anticipata (introduzione per i prossimi due anni di un ulteriore aumento dei giorni di sconto di pena, ndr), cosa ne pensa?
È una buona idea ma non è risolutiva. È, tuttavia, una norma che in questo contesto andrebbe immediatamente accettata.
Cosa fa un garante?
Purtroppo, non abbiamo poteri di intervento. Il garante ha potere di controllo e denuncia ed è già una grande premessa: a patto che lo si voglia ascoltare, altrimenti nominare un garante rimane solo un’operazione per pulirsi la coscienza. Il garante denuncia continuamente ma è vero pure che bisogna avere orecchie per ascoltare, altrimenti è inutile che urli nel deserto.
Cosa dovrebbe fare la politica?
Guardare lontano perché solo così può creare condizioni che prescindono dalle occasionalità. Se si guarda lontano, si comincia a ragionare: cosa serve a una società e come si può organizzare? Se questa capacità non si ha, ci si attacca alle emergenze quotidiane perché sono di effetto. Questo è quello che succede in tutti i cambi, anche quando si verifica un incidente stradale o un morto sul lavoro, si interviene nell’occasione. I politici, oltre a partire dalle fondamenta giuridiche sul ruolo della rieducazione, dovrebbero, proprio per questo, ragionare anche in chiave utilitaristica.
Di cosa avrebbe bisogno il carcere oggi?
Di una riforma che sia prima di tutto culturale, pensando che la maggioranza dei detenuti è frutto di questa società e che queste persone prima o poi tornano nella società. Se si è svolto un buon lavoro in carcere, le persone tornano migliori nella società, se tornano peggiori il carcere ha fallito nella sua missione di formazione o riformazione. O creiamo in ciascun detenuto la prospettiva di un’esistenza sociale migliore di quella da cui proviene o questi ricade inevitabilmente nello stesso dramma da cui è partito.
Come si porta la bellezza nel carcere?
Con l’arte. Tutto ciò che di artistico può essere portato all’interno di un carcere è uno spazio benedetto. Nel carcere di Volterra si svolgono lezioni di teatro, di recente i detenuti hanno recitato anche a Venezia. Tutto questo abbellisce anche un ambiente che non lo è.
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