La stretta sui pensionamenti precoci produce i primi effetti tangibili sull’Inps
Il piano governativo per arginare l’emorragia delle pensioni anticipate sta dando i primi risultati concreti. L’affermazione trova conferma nei numeri dell’Inps: nei primi sei mesi del 2025, infatti, sono state liquidate 98.356 pensioni anticipate, registrando un drastico calo del 17,3% rispetto alle 118.550 dello stesso periodo dell’anno precedente. Una riduzione che, proiettata sull’intero anno, si traduce in una diminuzione dell’11% delle uscite precoci dal mondo del lavoro.
La fine dell’era delle ‘quote facili’
La principale responsabile di questa inversione di tendenza è la sostanziale chiusura del sistema delle ‘quote’, che negli ultimi anni aveva rappresentato una via di fuga privilegiata per migliaia di lavoratori pubblici e privati. Il meccanismo che permetteva di combinare età anagrafica e anni di contributi per raggiungere determinati punteggi è stato praticamente smantellato, lasciando aperti solo varchi molto più stretti e penalizzanti.
Quota 103: una strada aperta ma piena di ostacoli
Quota 103 rimane tecnicamente attiva per tutto il 2025, consentendo l’uscita a 62 anni di età con 41 anni di contributi versati. Tuttavia, chi decide di percorrere questa strada deve accettare una serie di penalizzazioni che rendono l’opzione decisamente meno attraente. Il ricalcolo contributivo dell’assegno comporta tagli compresi tra il 20 e il 30%, mentre viene applicato un tetto massimo pari a quattro volte la pensione minima fino al compimento dei 67 anni. A questo si aggiunge una finestra mobile che nel settore pubblico può arrivare fino a 9 mesi di attesa dal momento della maturazione dei requisiti.
La stretta sul sistema contributivo
Le pensioni anticipate hanno subito restrizioni persino nel sistema contributivo, quello riservato ai lavoratori assunti dopo il 1996. I requisiti originari, che prevedevano 64 anni di età, almeno 20 anni di contributi e una pensione pari a 2,8 volte quella minima, sono stati inaspriti significativamente. Ora servono 25 anni di contributi (che diventeranno 30 nel 2030) e un assegno pari ad almeno 3 volte quello minimo. L’unico alleggerimento è arrivato grazie al sottosegretario Claudio Durigon, che ha permesso di includere nel calcolo anche gli importi della previdenza complementare.
Opzione Donna e il ‘bonus Giorgetti’
Anche Opzione Donna, storico scivolo previdenziale che un tempo consentiva alle lavoratrici di andare in pensione a 58 anni, è stata praticamente cancellata. L’accesso rimane possibile solo per categorie specifiche: care giver, lavoratrici licenziate o con invalidità civile. Una platea ridottissima rispetto al passato. Accanto alle restrizioni, il governo ha introdotto anche incentivi per chi decide volontariamente di rimanere al lavoro pur avendo maturato i requisiti per le pensioni anticipate. Il cosiddetto ‘bonus Giorgetti’ permette di trattenere in busta paga la quota di contributi che dovrebbe essere versata all’Inps, pari al 9,19% della retribuzione. Un meccanismo che, secondo l’Inps, ha contribuito ad alzare l’età media di pensionamento a 64,8 anni.
I risultati della riforma
L’effetto combinato di questi interventi ha prodotto risultati evidenti nei comportamenti dei lavoratori italiani. L’Inps registra un calo del 9% delle pensioni anticipate accompagnato da un aumento dell’8,5% delle persone che scelgono di prolungare la propria carriera lavorativa. Numeri che testimoniano come il sistema di incentivi e disincentivi stia realmente modificando le scelte previdenziali degli italiani. L’esperimento delle pensioni anticipate più restrittive sembra dunque aver centrato l’obiettivo di ridurre le uscite precoci dal mercato del lavoro. Resta da vedere se questa strategia riuscirà a mantenersi sostenibile nel lungo periodo, bilanciando le esigenze di bilancio pubblico con le legittime aspettative dei lavoratori.
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