Un’intervista “musicale” a uno dei più importanti scienziati italiani, riconosciuto e pluripremiato a livello mondiale per il suo lavoro in nanotecnologia medica, che si propone come cantante nel suo primo album MoonLanding.
«Mauro Ferrari? Mauro Ferrari? Chi sarà questo nuovo artista che gli attenti talent scout dell’etichetta Alfa Music hanno pescato chissà dove e hanno fatto debuttare con un album interessante e variegato, intitolato MoonLanding?». Chi si occupa di musica si è fatto questa domanda non appena ha ascoltato il cd, accorgendosi con una breve ricerca sul web dell’omonimia del titolare con uno dei più importanti scienziati italiani, il 66enne friulano considerato uno dei massimi esperti mondiali di nanotecnologie e non solo applicate allo studio dei tumori. Solo la lettura del corposo booklet ha sciolto ogni dubbio: i due Mauro Ferrari sono la stessa persona dalla polivalente personalità. Noi l’abbiamo intervistato di nuovo nel suo ruolo di “artista della musica”, che, scoprirete, non considera molto diverso da quello di “artefice della ricerca”.
Come si sente uno scienziato di fama mondiale dopo aver messo la sua firma su album di canzoni?
È una grande gioia e un grande privilegio poter collaborare con musicisti straordinari come quelli che mi hanno aiutato a portare a compimento l’album MoonLanding, pubblicato dalla prestigiosa casa Alfa Music, che ringrazio sentitamente. Sa, io certamente non sono un musicista “vero” come loro, e anzi spero che la collaborazione con me non gli rovini la carriera… ma sono enormemente grato a tutti questi artisti, perché la musica fatta insieme mi permette di comunicare i temi a cui tengo di più e sui quali si basa da sempre la mia vita scientifica.
La cosa principale per me è il perché si fa la scienza, non tanto gli aspetti tecnici, che alla fine sono spesso molto noiosi, confessiamolo! Pur nel totale rispetto di chi la pensa diversamente, questo perché per me può essere uno e uno solo: il desiderio di aiutare chi ha bisogno di speranza, di sollievo dalla sofferenza, di solidarietà. Dette solo a parole, queste cose sembrano forse trite, plasticose, magari obbligate senza essere sentite. Ma mettici la musica giusta, e lì non si può essere superficiali o mentire. Il cuore si vede e si sente, e i significati veri emergono. La musica e la scienza, insieme, al servizio del significato della scienza, e forse in avvicinamento a quello più importante, della vita. Che per me è il trasformare il proprio dolore in cose buone per altri che ne hanno bisogno. Fai quello e sei a posto con i significati, no?
Vede, il mio lavoro scientifico è la lotta contro il cancro metastatico. Di vita e di morte e dei momenti che contano ne vedo e ne vivo tantissimi, tutti unici e irripetibili, nell’amore e nel dolore (che sempre amore è). Per me è tutto partito da una tragedia personale, in famiglia. Ben mi rendo conto che è sempre difficile parlare di queste cose e fare contatto vero con il cuore delle persone con cui le condividiamo. È qui che la musica diventa indispensabile. Per questo ho cominciato a fare spettacoli in cui i messaggi sono presentati in un misto di parole parlate e cantate, con canzoni nuove e pure con cover che aiutano a portare i significati, e permettono di condividere le emozioni fondanti dell’esistenza. MoonLanding nasce come colonna sonora dell’omonimo spettacolo, con queste intenzioni. Per me è parte integrante del mio servizio come scienziato.
Qual è stata la sua formazione di musicista e cantante e come si è intrecciata e ha aiutato (o rallentato) quella di uomo di scienza?
Formazione poca, confessiamolo. Suono il sax da quando avevo 15 anni, ovvero da 50 anni, ed è stupefacente quanto poco io sia riuscito a imparare in tutto questo tempo. Invece, canto in pubblico da pochi anni: è una cosa che è nata un po’ per caso, durante uno spettacolo alla Nuvola di Fuksas. Un musical scientifico con Daniele D’Agaro e Mauro Costantini, dove avrei dovuto solo parlare e suonare, ma come diceva Bob Fosse, «quando le parole parlate non bastano più, e lì che devi cominciare a cantare!».
Maestri, vediamo. Per il canto certamente la grande Barbara Errico, a cui riconosco tutti i meriti per le rare cose buone che mi riescono (mentre gli schifi sono tutti miei, grazie)! Per il sax è Texas Johnny Boy. Quando ero presidente di uno dei principali ospedali americani, lo Houston Methodist, e avevo 27mila dipendenti, di cui oltre duemila addetti alla ricerca, lo stress era a livelli di follia. Dieci anni di onorato servizio, grazie, con tanti successi e neppure uno scandalo, wow. Ma per reggere lo stress, andavo qualche volta nelle bettole del blues a sentire musicisti locali – e il Texas ne è ricchissimo. Una sera ho visto Texas Johnny Boy insieme al mitico Milton Hopkins, ex partner di BB King per tanti anni, e mi sono innamorato della loro musica. Alla fine dello spettacolo mi sono avvicinato a loro, ancora in giacca e cravatta dal lavoro e ho chiesto se erano disposti a insegnarmi la loro musica. Si sono messi a ridere e hanno fatto commenti sul colore della mia giacca (e della mia pelle), ma alla fine siamo diventati amicissimi e ho fatto credo 200 spettacoli con loro nel grande sud degli USA. Onore alla memoria, due grandissimi.
Non ho dubbi che senza la musica non sarei mai riuscito a fare le cose che ho fatto nella scienza. Sono linguaggi diversi (ma non troppo) per dire le stesse cose e arrivare allo stesso obiettivo: aiutare chi possiamo, traendo energia da quei dolori fondanti che ci accompagnano nella vita (comunicazione di servizio: sorry, ma i grandi dolori non andranno mai via, tanto vale usarli per qualcosa di buono, no?). Sto sempre attento a tenere i giusti equilibri e le giuste priorità nel tempo, ma non c’è dubbio: la musica per me è necessaria alla mia scienza e viceversa.
Il suo album MoonLanding ha come sottotitolo Science and Music for Love. Tutte le canzoni sono collegate alla Luna come spiega sul booklet, ma come la scienza e la musica sono legate all’amore in maniera non superficiale?
Le tre colonne della scienza per me sono: la conoscenza (crearla e diffonderla), e poi la motivazione (il perché la si fa: per desiderio dantesco di superare i confini, per altri idoli e feticci, o per rimboccarsi le maniche, mettersi al servizio e aiutare chi si può?). Terza ma prima, l’emozione che guida tutto quello che facciamo (sì, è vero anche per noi scienziati, che pure ce la tiriamo tanto con la razionalità). E parafrasando i Corinzi pur senza scomodare Paolo di Tarso, delle tre la più importante è l’emozione fondante: scelga lei quella che preferisce per sé, ma per me non può essere che l’amore. E la musica ne è il linguaggio veritiero.
E poi, perché la Luna? Perché mi permette di raccontare sul palco come la scienza debba essere guidata da intenzioni benefiche, come faccio nelle nostre versioni di canzoni di Frank Sinatra e Otis Spann, rispettivamente dal versante bianco-ricco e quello nero-povero delle comunità americane ai tempi delle imprese di Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Con il quale Buzz mi trovavo come ospite d’onore a Cape Canaveral, il giorno in cui partiva il primo razzo di SpaceX, che doveva portare un nostro esperimento in orbita, sulla Space Station… Una storia con finale a sorpresa, di cui parlo talvolta nei nostri spettacoli.
Un repertorio veramente variegato il suo, si passa dal compositore classico Carl Orff a brani inediti in friulano, da Gino Paoli al blues di Otis Spann, dall’american songbook a Fred Buscaglione, da Loredana Bertè a Sting e Van Morrison. È l’accompagnamento sonoro per le sue conferenze nei teatri di mezzo mondo, ma soprattutto una scelta propriamente artistica, legata anche alla passione per il jazz, una musica che spesso elabora in chiave innovativa evergreen del passato. Ce ne parli…
Il mio modo di fare scienza oncologica è “super-disciplinare” (a volte chiamato “modalità frullatore”) e impiega un cocktail di matematica, fisica, biologia, e altre cose che non so neanche cosa sono e che ci inventiamo per superare gli ostacoli tra noi e la cura che cerchiamo di trovare. Non è una scelta, quella di mettere insieme tante discipline scientifiche, è semplicemente come funziona la mia testa (o almeno i quattro neuroni che mi sono rimasti, e che sono sempre più indisciplinati e rompiballe). E allora non può essere tanto sorprendente che in MoonLanding Carl Orff stia vicino a Loredana Bertè o Sting, no? Eppoi, tutto il lavoro viene sapientemente integrato dalle magiche orchestrazioni e dagli arrangiamenti del maestro Mauro Costantini.
Inoltre, tanta varietà musicale ci permette di creare le ambientazioni nelle quali i nostri musicisti si esprimono al loro meglio – esattamente quello che faccio come leader del mio laboratorio scientifico! E da chi lo imparato? Vediamo. Antonio Vivaldi scrisse tanti concerti cambiando lo strumento solista, sulla base di che talento aveva a disposizione, tra le sue orfanelle a Venezia. Non dava spazi all’improvvisazione, ma scriveva la musica per il talento che aveva. Duke Ellington, stessa cosa. Con l’evoluzione ulteriore che si poneva l’obiettivo di dare le condizioni ideali ai suoi solisti per improvvisare al loro meglio. Johnny Hodges, Ben Webster, Cootie Williams, Harry Carney. Mica male. Charlie Mingus faceva lo stesso, no? Eric Dolphy, George Adams, Booker Ervine, Dennis Richmond… Beh, a me viene di provare la stessa strategia, nella scienza e nella musica. E allora, MoonLanding, ospitiamo Costantini ed Errico, insieme alla 21-platinum (autrice di lavori certificati dischi di platino per 21 volte, ndr.) Mary Griffin, con Kim Prevost a Houston, e dall’Italia Andrea Dulbecco, Mirko Cisilino, Piero Cozzi, Jimi Barbiani, Giancarlo Bianchetti e tanti altri ancora. Ognuno/a magnifico/a, e nelle proprie ambientazioni.
Non di rado le sonate di Bach sono state lette in chiave logico-matematica. Esiste veramente una relazione diretta tra musica e scienza oppure è soltanto una sovrastruttura inventata per un’interpretazione diversa dal solito?
Non c’è dubbio che tanti matematici abbiano anche interessi e talenti musicali. E certamente ci sono tante chiavi di lettura matematiche per la musica – alla fine se vogliamo guardarla ai raggi-x della fisica, si tratta di frequenze, risonanze, intervalli, ovvero tutta roba che si scrive in equazioni. Ma più che vedere la matematica nella musica, io preferisco il contrario: le cose più belle e più creative della matematica a me sembrano creature musicali. Un teorema che taglia gli spazi della conoscenza e ne apre di nuovi è come una melodia inaspettata, appare misteriosamente come dal nulla e cambia il mondo. Poi il rigore della sua dimostrazione è come una costruzione armonica, sistematica, precisa, ed è altrettanto necessaria. Il teorema è melodia, e quindi invenzione, emozione, e mistero. A me finora sono venuti solo teoremi, di musica ne ho inventata veramente poca. Ma non perdo la speranza, alla fine, a 66 anni comincia la vita, vero?
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