Lo schermidore siciliano: «L’obiettivo del mio impegno anche come vicepresidente vicario della Federazione Italia Scherma, è prendermi cura degli altri e delle loro fragilità»
Una serie di allori di tutto rispetto tra Olimpiadi, Campionati mondiali, europei e italiani. Tra questi, spicca l’oro individuale conquistato ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro nel 2016. Si tratta del palmarès di Daniele Garozzo, schermidore italiano, specialità fioretto. Catanese, 33 anni, un’altra medaglia, altrettanto importante, l’ha conquistata una volta appeso al chiodo il fioretto, laureandosi a pieni voti in Medicina e Chirurgia. E lo abbiamo incontrato, proprio tra una visita e l’altra ai piccoli pazienti, all’Ospedale Bambino Gesù di Roma. «Nella vita ho sempre cercato di ottenere il massimo, anche se non è stato semplice. Portare avanti contemporaneamente allenamenti e gare con gli studi di Medicina ha richiesto organizzazione, sacrificio e impegno non comuni».
Qual è il segreto di tutto questo?
Sicuramente la passione per tutto ciò che si fa, sfruttando le energie di quando ero poco più che ventenne. Insomma, tanto lavoro fisico e mentale che è andato a buon fine.
Sport e sanità che cosa hanno in comune?
È un discorso che porto avanti anche in qualità di vicepresidente vicario della Federazione Italiana Scherma. Oggi lo sport non è più solo quello di alto livello, ma un settore che deve necessariamente essere attento a tematiche sociali. Abbiamo realizzato una serie di progetti importanti per inserire nell’attività agonistica persone con fragilità. Alla base c’è l’obiettivo di prendersi cura degli altri attraverso l’attività fisica. Lo sport è agonismo, vittorie olimpiche, è anche tanto altro.
E questo è tanto vero se consideriamo che la Federazione Scherma annovera anche gli atleti paralimpici.
Sì, c’è una fusione tra queste due realtà. Spesso negli allenamenti atleti normodotati e atleti con disabilità tirano l’uno contro l’altro e questo migliora sensibilità e preparazione. Al di là del messaggio sull’inclusione che si vuole portare avanti, questa pratica rappresenta un arricchimento sia dal punto di vista umano che tecnico per ambedue le categorie.
Daniele, che cosa le è rimasto invece dallo sport di alto livello, come l’esperienza olimpica?
Ovviamente il primo ricordo è quello della medaglia d’oro nel fioretto individuale conquistato nel 2016 a Rio de Janeiro. La presenza del pubblico delle grandi occasioni, della mia famiglia e degli amici arrivati dall’Italia sono state sensazioni incredibili, forti ancora oggi. E ho ancora negli occhi l’ultima stoccata portata in corsa sulla schiena dell’avversario, lo statunitense Alexander Massialas. Vinsi per 15 a 11.
La scherma ha regalato tanti allori all’Italia. Lei è siciliano, ma scuole di grande livello di fioretto, spada, sciabola esistono in tutto il Paese. Come fare a mettere insieme atleti che arrivano da preparazioni diverse?
C’è un’importante tradizione schermistica in tutta l’Italia. Diciamo che la mia generazione ha fatto tesoro dei progetti della Federazione puntati proprio a mettere insieme e ad amalgamare atleti provenienti da realtà agonistiche diverse. Fondamentale è l’attività che si svolge nei tornei nazionali, che dà modo di conoscersi umanamente e sportivamente e di scambiarsi tecniche e approcci diversi. Si è dunque creata una tradizione comune che ha portato tanti frutti in termini di affermazioni internazionali. La scherma è lo sport che più di tutti ha regalato medaglie olimpiche all’Italia. Noi siciliani siamo sempre stati molto motivati ad affrontare le gare che si svolgevano soprattutto al Nord Italia e che, per essere effettuate, richiedevano a noi isolani qualche sacrificio in più.
Tanti sport hanno visto nel tempo un aggiornamento di regole e materiali, la scherma è rimasta un po’ indietro da questo punto di vista?
La sicurezza degli atleti va sempre messa in primo piano. L’acciaio che oggi si usa per l’arma, così come la maschera e l’abbigliamento, consentono di evitare al massimo possibili incidenti. Si stanno studiando materiali diversi, ma qui il discorso è lungo, in quanto qualsiasi innovazione va testata e ritestata in allenamento e in gara per garantire appunto l’incolumità degli schermidori.
Qual è il rapporto con gli avversari dentro e fuori dalla gara?
Come si può vedere, la tensione in pedana è sempre altissima. Si esulta ad ogni stoccata portata a segno. È chiaro che ogni sfida simula un duello, però, terminata la gara, prevalgono correttezza e rispetto nei confronti dell’avversario, sia che si vinca sia che si perda. Finito l’assalto ci si alza la maschera e ci si abbraccia all’insegna dei veri valori dello sport, come il riconoscere i meriti dell’altro atleta. Ogni nervosismo viene messo da parte e dimenticato.
La scherma può insegnare molto ad altri sport, forse più popolari, ma in cui le tensioni portano spesso a veri e propri scontri fisici?
Direi di sì, la scherma è uno sport nobile in cui la correttezza e lo stile sono sempre al primo posto. Da questo punto di vista potrebbe essere un bel modello per altre pratiche sportive.
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