Fra dieci anni, in Italia, avremo tre milioni di persone in meno in età lavorativa. È una delle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione che fa sentire sempre più i suoi effetti anche sul mondo del lavoro. I dati di uno studio della Cgia di Mestre.
Solo dieci anni e le persone in età lavorativa in Italia diminuiranno a causa dell’invecchiamento della popolazione e del calo demografico. I rischi per questo impoverimento della base dei lavoratori sono diversi. Si va dalla tenuta dei conti pubblici al futuro del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del turismo. A trarne vantaggio solo le banche. A rilevarlo un’indagine condotta dall’Ufficio studi della Cgia (Associazione Artigiani Piccole Imprese) di Mestre.
Quanto si ridurranno i lavoratori in futuro
Le proiezioni demografiche indicano che, entro i prossimi dieci anni, la popolazione in età lavorativa presente in Italia diminuirà di quasi 3 milioni di unità (precisamente 2.908.000), pari a una riduzione del 7,8%. All’inizio del 2025 questa fascia demografica contava 37,3 milioni di persone; si prevede che la platea nel 2035 scenderà a 34,4 milioni. Tale calo è attribuibile al progressivo invecchiamento della popolazione: con un numero sempre più ridotto di giovani e un consistente gruppo di baby boomer prossimo all’uscita dal mercato del lavoro per raggiunti limiti d’età, il nostro Paese rischia lo spopolamento della coorte anagrafica potenzialmente occupabile.
Qual è l’età media dei lavoratori in Italia
Anche i dati della fine del 2023 dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp) non mentono. Si è verificato un boom di lavoratori anziani in Italia. Nel 2022 è stata superata la soglia del 37% dei lavoratori di età compresa tra i 50 e i 64 anni. Erano il 21% nel 2005 e il 27% nel 2012. Anche il numero di lavoratori con più di 65 anni è in crescita, passato da 334mila nel 2005 a 827mila nel 2025. Raddoppiati in vent’anni. Dopo tutto l’età media della popolazione in età lavorativa è in costante aumento: nel 2021 era di 42,4 anni a fronte dei 41,2 del 2011 e dei 39,9 del 2001.
Sempre la Cgia sottolinea che tutte le 107 province italiane monitorate nello studio registreranno entro il prossimo decennio una variazione assoluta negativa, confermando che il fenomeno colpirà indistintamente tutte le aree del Paese. Inoltre spiega come, se si considera il declino demografico insieme all’instabilità geopolitica, alla transizione energetica e a quella digitale, nei prossimi anni le imprese sono destinate a subire dei contraccolpi molto preoccupanti. La difficoltà, ad esempio, nel reperire giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane, commerciali o industriali è un problema sentito già oggi, figuriamoci tra un decennio.
Chi spera in un’inversione del trend demografico rischia di rimanere deluso, osserva la Cgia. Non esistono misure efficaci in grado di modificare questa tendenza in tempi ragionevolmente brevi. Nemmeno il ricorso alla manodopera straniera potrà risolvere completamente la situazione.
“Dobbiamo prepararci a un progressivo rallentamento del Pil – dice la Cgia -. Va inoltre considerato che una società con una popolazione sempre più anziana e meno giovane dovrà affrontare un aumento rilevante della spesa previdenziale, sanitaria e assistenziale, con implicazioni molto negative anche sui nostri conti pubblici”. Tra le imprese saranno le Pmi le più penalizzate.
Quali sono le conseguenze dell’invecchiamento sul lavoro
Ci saranno conseguenze con l’invecchiamento della forza lavoro anche su diversi settori. Molte aziende, in particolare quelle di piccole dimensioni, saranno costrette a ridurre gli organici a causa dell’impossibilità di procedere ad assunzioni. A risentirne soprattutto i settori del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Al contrario, il settore bancario potrebbe essere tra i pochi a beneficiare di alcuni effetti positivi: grazie a una maggiore inclinazione al risparmio rispetto alle altre coorti anagrafiche, la popolazione anziana potrebbe incrementare il valore economico dei propri depositi, favorendo così le istituzioni creditizie.
Le contrazioni più importanti si verificheranno nel Mezzogiorno. In valore assoluto la provincia che subirà la perdita più importante è Napoli con -236.677 persone. Come regioni Lo scenario più critico investirà la Sardegna che entro il prossimo decennio subirà una riduzione di questa platea di persone del 15,1 per cento (-147.697 persone).
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