Il progressivo invecchiamento della popolazione potrebbe far sentire i suoi effetti anche sul debito pubblico. A dirlo è l’Ufficio parlamentare di Bilancio: il rischio è un ritorno del deficit sotto il 3% del Pil solo nel 2030 e un debito pubblico al 139% nel 2041.
Ci aspettano anni di calo forza lavoro – in Italia, nel 2025, i lavoratori sono scesi al di sotto dei 30 milioni, un milione in meno rispetto al 1950 – e di riduzione del Pil. Il progressivo invecchiamento della popolazione nel nostro Paese da una parte racconta una importante conquista, dall’altra porterebbe con sé criticità come l’innalzamento del debito pubblico. È quanto emerso da una recente audizione della presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), Lilia Cavallari, davanti alla Commissione Parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali della transizione demografica in atto.
Invecchiamento della popolazione e debito pubblico: tre scenari
Secondo l’Upb la transizione demografica comporterebbe nella situazione peggiore un ritorno del deficit sotto il 3% del Pil solo nel 2030 e un nuovo superamento di tale soglia dal 2036. Il debito pubblico, invece, sempre nella più estrema delle situazioni, potrebbe arrivare sino al 139% nel 2041.
Per valutare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione sul nostro debito pubblico, l’Upb ha sviluppato tre scenari alternativi: flussi migratori ridotti del 33%; congelamento dell’età di pensionamento ai livelli del 2023 e disattivazione dei meccanismi di adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita; incremento di spese sanitarie e per Long Term Care.
Nelle tre diverse proiezioni, il disavanzo di bilancio, espresso come percentuale del Pil, è destinato a peggiorare. Questo deterioramento è principalmente guidato da due fattori: un aumento della spesa legata all’invecchiamento (in media dello 0,2%, 0,4% e 0,3% del PIL tra il 2024 e il 2041 rispetto allo scenario di base) e la minore crescita proiettata del prodotto potenziale, che è particolarmente rilevante negli scenari che prevedono meno immigrazione o un’età pensionabile statica.
Cosa accadrebbe in base allo scenario
Con il primo e il terzo scenario la discesa sotto la soglia del 3% che il Governo ha in programma per il 2026 slitterebbe al 2027. Più problematico il secondo scenario: in tal caso il deficit si assesterebbe sotto il 3% del Pil solo nel 2030, ritornando a superare tale soglia dal 2036.
Il rapporto tra il debito pubblico e la ricchezza prodotta (Pil) è previsto in peggioramento in tutte le ipotesi alternative considerate rispetto al Piano Strutturale di Bilancio (Psb) e allo scenario di riferimento dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Entro il 2031, ad esempio, vedremmo il debito arrivare al 134% del Pil se le spese per la sanità e la non autosufficienza aumentassero, e al 135% se l’immigrazione diminuisse. Il caso più preoccupante è quello in cui l’età pensionabile non venisse adeguata, con il debito che schizzerebbe al 139% del Pil, ben 7 punti percentuali in più rispetto alla proiezione base dell’Upb.
Spesa sanitaria, immigrazione e pensioni bloccate minacciano la riduzione del carico
Anche se il rapporto debito/Pil continuerà a scendere, la sua diminuzione sarà meno marcata rispetto a quanto previsto nel Psb. Entro il 2041, arriverebbe al 124% nello scenario di maggiori spese sanitarie e per l’assistenza Long Term Care, e al 128% in quello con minori flussi migratori. Se l’età pensionabile rimanesse invariata, il debito non si ridurrebbe affatto, raggiungendo il 139% del Pil nel 2041. Un divario significativo del 25% rispetto allo scenario del Psb.
Per garantire che il debito continui la sua discesa nel medio termine, le ipotesi demografiche andrebbero verificate periodicamente, e qualsiasi nuovo intervento in ambito pensionistico, sanitario o assistenziale non deve essere finanziato in disavanzo.
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