Il presidente dell’Inapp, Natale Forlani, in audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, avverte sugli effetti del pensionamento progressivo della popolazione lavoratrice. Il nostro welfare rischia di non reggere alla perdita di risorse. Le possibili soluzioni.
«In soli dieci anni usciranno dal lavoro circa 6,1 milioni di italiani: un esodo generazionale che rischia di lasciare il Paese senza ricambio e di mettere in crisi la tenuta del welfare». Così Natale Forlani, presidente dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), durante l’audizione presso la Commissione d’inchiesta sugli effetti della transizione demografica. Nel 2060 il nostro Paese si vedrà costretto ad affrontare un calo drastico della forza lavoro: la popolazione tra i 20 e i 64 anni diminuirà del 34%. Una contrazione dall’impatto significativo sulla crescita economica, sul welfare e sulla spesa pubblica.
Italia, tutti i segnali di una popolazione che invecchia
I segnali di questo cambiamento, fa notare Forlani, ci sono tutti e sono già evidenti oggi. A cominciare dall’aumento della dipendenza demografica. Il numero di persone in pensione e di minori a carico è in aumento rispetto alla popolazione in età lavorativa. Subiamo un carenza di competenze con le aziende che faticano a trovare personale qualificato, nonché un aumento della spesa pensionistica (raggiungerà il 17% del Pil entro il 2040). Anche l’assistenza agli anziani, con oltre 4 milioni di over 65 non autosufficienti, finisce per pesare sul nostra welfare già sotto sforzo.
Come affrontare la transizione demografica in Italia: due strategie
La questione è come affrontare in Italia questa importante transizione demografica. Per il presidente dell’Inapp è urgente adottare politiche mirate. Oggi, il nostro Paese non dispone di un vero e proprio piano di gestione dell’età lavorativa (age management) efficace. Non tutto è perduto, però. Le strategie necessarie si possono muovere su due fronti: rigenerare la popolazione attiva e intervenire sulla spesa sociale. Politiche pensionistiche da una parte, quindi, e inserimento nel mercato del lavoro dall’altra. Il che vuol dire limitare i pensionamenti anticipati e alzare gradualmente l’età di ritiro. Parallelamente, serve implementare politiche attive per inserire nel mercato del lavoro 1,4 milioni di Neet, giovani che non studiano, non lavorano e non cercano un’occupazione. Così come, per affrontare la transizione demografica in Italia, è necessario integrare maggiormente le donne, risorsa non sfruttata e fondamentale per bilanciare gli effetti dell’invecchiamento demografico e sostenere l’economia.
Come rigenerare la popolazione inattiva
Non potendo contare su forze fresche che vanno in sostituzione delle risorse che usciranno dal mercato del lavoro, l’Italia deve concentrarsi sulla rigenerazione della forza lavoro. Questo obiettivo, secondo Forlani, si può raggiungere agendo su due fronti principali: l’attivazione delle persone inattive e la valorizzazione dei lavoratori più anziani. A cominciare da quei 7,8 milioni di donne tra i 15 e i 64 anni che non lavorano: già 1,2 milioni si sono dichiarate disposte a farlo. Una disponibilità particolarmente alta nel Sud del Paese, con punte del 23% in Campania e Sicilia.
In realtà molte di queste donne, soprattutto nella fascia d’età centrale, non lavorano a causa di impegni familiari e di cura (80%). Aumentare l’occupazione femminile richiederebbe quindi di superare questi ostacoli. Soprattutto ridurre i fattori che scoraggiano come i salari bassi. Le aspettative salariali cambiano in base al livello di istruzione: le donne più istruite cercano lavori che corrispondano alle loro competenze e desiderano una retribuzione più elevata. Tuttavia, sono le madri a mostrare la maggiore flessibilità e a essere più disposte a scendere a compromessi.
Servono anche politiche di invecchiamento attivo. Più della metà della forza lavoro attuale, infatti, il 54,9%, ha più di 45 anni. Per mantenere in attività questi lavoratori esperti, servono formazione continua per aggiornare le loro competenze, Age management per gestire al meglio le loro carriere, flessibilità lavorativa e maggiore sicurezza per creare un ambiente di lavoro più sostenibile.
Come intervenire sulla spesa sociale
Ma dall’Inapp ricordano anche la necessità di rendere sostenibile il nostro sistema di spesa sociale. Da un lato, vanno gestite in modo più efficace le risorse per la terza età, e dall’altro, riformata l’assistenza per la non autosufficienza. La popolazione anziana, infatti, non è un blocco unico, per questo è importante differenziare le politiche. Ci sono anziani attivi, che possono ancora contribuire alla società e al mercato del lavoro, e poi ci sono oltre 4 milioni di persone over 65 non autosufficienti, che richiedono assistenza costante. E solo una piccola parte di questi ultimi riceve un supporto strutturato: appena il 7,6% è assistito in residenze sanitarie e il 30,6% beneficia di assistenza domiciliare integrata.
L’Italia spende 587,5 miliardi di euro in prestazioni sociali. Solo 57,1 miliardi sono destinati all’assistenza sociale e meno della metà di questi in servizi diretti. Questo dimostra la necessità di potenziare i servizi di prossimità che arrivino direttamente alle persone. L’obiettivo è promuovere la “de-istituzionalizzazione”, ovvero sostenere il più possibile l’assistenza a casa, come previsto dalla legge 33/2023 e dalle riforme del PNRR.
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