Si è spento a 71 anni per un arresto cardiaco l’icona pop degli Anni ’80, pioniere dello “sport-entertainment” e sostenitore di Donald Trump. Hulk Hogan lascia un’eredità fatta di trionfi, eccessi e un corpo segnato da 25 operazioni chirurgiche.
Un modo nuovo di intendere lo spettacolo sul ring
Il mondo dello spettacolo e dello sport-entertainment piange la scomparsa di una delle sue figure più iconiche – ironiche – e dirompenti. Hulk Hogan, al secolo Terry Gene Bollea, è morto all’età di 71 anni nella sua casa di Clearwater, in Florida. A stroncarlo è stato un arresto cardiaco, epilogo di una vita vissuta costantemente sopra le righe, sia dentro che fuori dal ring.
Hogan non è stato semplicemente un wrestler. E’ stato l’architetto di un nuovo modo di intendere la disciplina, trasformandola da sport di nicchia a fenomeno globale di intrattenimento. Con lui, il wrestling ha smesso di essere solo sudore e tecnica per diventare una narrazione epica, una “soap opera muscolare” dove eroi e cattivi si scontravano in battaglie teatrali che tenevano incollati allo schermo milioni di spettatori. Prima che il concetto di “fake” diventasse di uso comune, lui ne era già un maestro indiscusso, il simbolo di un’America ipertrofica e retorica, capace di vendere come autentica la più smaccata delle finzioni. Un’icona pop che ha saputo incarnare in pieno lo spirito degli Anni ’80.
L’uomo che ha creato il wrestling moderno
La storia di Terry Bollea, prima di diventare Hulk Hogan, è quella di un giovane americano con radici italiane – il nonno era originario di un piccolo comune in provincia di Vercelli – che sognava la gloria.
Tentò la via del baseball e poi quella della musica, suonando il basso in diverse rock band e sfiorando persino il sogno di unirsi ai Metallica agli esordi, un aneddoto raccontato più volte dall’amico Lars Ulrich (batterista dei Metallica ndr.). Ma il suo destino era altrove, scolpito in un fisico statuario da due metri che non poteva passare inosservato.
Notato in palestra da due lottatori professionisti, Bollea capì quale fosse la sua strada. Nacque così Hulk Hogan, il personaggio che avrebbe dato vita al fenomeno della “Hulkamania”. Un eroe positivo, patriottico, che arringava le folle con slogan elementari ma efficaci (“Say your prayers, take your vitamins”, “Dì le tue preghiere e prendi le vitamine”). Si strappava la maglietta gialla in un gesto diventato leggendario e sconfiggeva i “cattivi” di turno in incontri dall’esito scontato ma spettacolare.
In Italia, la sua fama fu amplificata dalla voce inconfondibile di Dan Peterson, il coach di basket prestato al commento, che con il suo italo-americano maccheronico rendeva quelle lotte ancora più surreali e irresistibili, quasi fossero un cartone animato con attori in carne e ossa. Hogan ha interpretato sia l’eroe senza macchia nella World Wrestling Federation, sia l’antagonista principale a capo del “New World Order” nella federazione rivale, dimostrando una versatilità attoriale perfetta per un mondo dove tutto è copione.
Il prezzo fisico della fama
Il culmine della sua popolarità arrivò quando Hollywood si accorse di lui. Sylvester Stallone lo volle personalmente per il ruolo di “Thunderlips” in Rocky III, un cameo che lo consacrò definitivamente come icona globale. La leggenda, alimentata ad arte, narra che durante le riprese mandò all’ospedale ben tre stuntman, a metà tra realtà e finzione, come tutta la sua carriera.
>Ma quella vita di voli dalle corde, di colpi violenti (seppur controllati) e di allenamenti estremi per mantenere una massa muscolare innaturale, presentò un conto salatissimo. Il suo corpo, all’apparenza invincibile, era in realtà una maschera di dolore. Lo ha raccontato lui stesso, negli ultimi anni, con una sincerità disarmante, rivelando di essersi dovuto sottoporre a ben 25 interventi chirurgici per rimediare ai danni subiti. “Ho ginocchia finte, fianchi finti, la schiena piena di metallo e anche parte della mia faccia”, confessò, svelando il dramma dietro la gloria. I problemi alla schiena lo avevano persino accorciato di quasi 8 centimetri.
Il gigante buono del ring era, nella vita reale, un uomo segnato da cicatrici indelebili, schiacciato dal peso del suo stesso personaggio e dalla fama che lo aveva reso immortale agli occhi del pubblico. Un paradosso crudele per chi aveva fatto della propria prestanza fisica il biglietto da visita per il mondo intero.
Addio a Hulk Hogan, tra scandali e impegno politico
Ma la storia di Hulk Hogan non è stata solo trionfi sul ring. Fuori dal quadrato, non si è fatto mancare nulla, incarnando l’eccesso in ogni sua forma. L’episodio più noto è quello di un video, diffuso online, che lo vedeva protagonista con la moglie del suo migliore amico. Una vicenda che, paradossalmente, si concluse con un maxi-risarcimento a suo favore di 30 milioni di dollari da parte del sito che lo aveva pubblicato.
Fu sempre un video, però, a causargli il punto più basso della carriera: il licenziamento dalla WWE, la federazione che lo aveva lanciato, a causa di frasi razziste registrate a sua insaputa. Un’ombra che macchiò la sua immagine di eroe per tutti. L’ultimo capitolo della sua vita pubblica è stato segnato dall’aperto sostegno a Donald Trump. Un’alleanza quasi naturale tra due uomini che hanno fatto dello show e dell’autopromozione la propria cifra stilistica. Hogan, con la sua bandana a stelle e strisce, è diventato una presenza fissa ai comizi del tycoon, dimostrando ancora una volta di essere un performer totale, a suo agio tanto su un ring quanto su un palco politico. In fondo, entrambi hanno capito prima di altri che nell’arena mediatica contemporanea, la realtà conta meno della sua rappresentazione.
Oggi, la sua scomparsa non chiude solo un capitolo del wrestling, ma segna la fine di un’era. Hulk Hogan è stato un precursore inconsapevole della cultura delle celebrità odierna: un uomo che ha fuso la sua identità con quella del suo personaggio fino a renderle indistinguibili.
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