Boccaccio libera la donna dai rigidi schemi medievali, rappresentandola in tutta la sua complessa umanità, in netto distacco dalla tradizione di Dante e Petrarca
La modernità di Giovanni Boccaccio passa attraverso la raffigurazione dei suoi personaggi femminili, non più angeli salvifici né demoni tentatori – come nella tradizione medievale -, ma esseri umani dotati di libertà morale e intellettuale, responsabili delle proprie scelte. Mentre, infatti, in Dante e Petrarca la donna resta oggetto contemplato, una creatura che eleva l’uomo a Dio, in Boccaccio diventa soggetto capace di desiderio autonomo, di decisioni morali complesse, di inganno e tradimento.
Nella numerosa galleria al femminile, il posto d’onore spetta a Madonna Fiammetta, colei che lo ha introdotto alla passione e alle pene d’amore, protagonista e dedicataria delle sue opere più note. Fiammetta è un personaggio-cardine nell’evoluzione della scrittura boccaccesca. Dietro il nome poetico – che evoca dolcezza e desiderio – si nasconde, con ogni probabilità, la figura di Maria d’Aquino, figlia naturale del re Roberto d’Angiò, sovrano di Napoli. Sposata giovanissima ad un conte e protagonista brillante della vita di corte (seppure nessun documento ne attesti l’esistenza e dunque il mistero rimane fitto), incontra il giovane Boccaccio nel 1336, nella chiesa di San Lorenzo. La descrizione che egli ne fa è di una donna bellissima, bionda, con occhi luminosi, di nobili maniere e di intelligenza acuta. La loro fu una relazione reale e passionale, ma di breve durata. Secondo i racconti dello stesso Boccaccio, fu lei a tradirlo, abbandonandolo per un altro uomo.
La figura di Fiammetta percorre tutto l’arco letterario dello scrittore toscano. Nelle opere giovanili è un oggetto di adorazione, una creatura sublime il cui amore innalza spiritualmente il poeta. In questo, è la diretta erede di Beatrice e Laura. Tuttavia, la differenza è sostanziale: l’amore di Boccaccio è dichiaratamente sensuale, meno metafisico di quello di Dante e meno interiorizzato e struggente di quello di Petrarca. L’addio tra i due, a parti rovesciate, avviene nell’Elegia, dove il poeta trasforma la donna che lo ha fatto soffrire in una figura che prova il suo stesso dolore. Fiammetta, nel monologo, narra di essere stata abbandonata dal suo amante Panfilo (dietro cui si cela lo stesso Boccaccio) che è partito per Firenze promettendole di tornare, ma che poi si è innamorato di un’altra donna, diventando “freddo e distaccato”. Una vendetta letteraria, l’unica possibile per il poeta sedotto e abbandonato.
Ma il suo universo femminile non si esaurisce con l’amata. Il Decameron, fin dal sottotitolo “Prencipe Galeotto” che allude al ruolo di intermediario amoroso, si schiera come opera dedicata alle donne, scritta per loro conforto e intrattenimento. Questo posizionamento pubblico è parte integrante della rivoluzione culturale di Boccaccio in un’epoca in cui il dibattito sulla natura femminile oscilla tra misoginia clericale e difesa dell’onore muliebre.
Nel Decameron, le sette giovani donne che insieme ai tre ragazzi compongono la lieta brigata dei novellatori sono ben più di un coro di voci indistinte. Boccaccio le tratteggia con cura, attribuendo a ciascuna una personalità precisa che emerge dalle novelle e dai loro interventi durante le dieci giornate. Nel microcosmo protetto della villa fuori Firenze, incarnano un nuovo modello di società, dove l’intelligenza e la prudenza femminile guidano le scelte collettive. Sono loro, a maggioranza, a decidere di fuggire dalla peste, a stabilire le regole della convivenza, a scegliere i temi delle giornate. Un ribaltamento della gerarchia sociale medievale in cui le donne erano subordinate all’autorità maschile.
Ecco Pampinea, la regina della ragione. È lei a prendere la parola nella chiesa di Santa Maria Novella, di fronte alle altre sconvolte dalla peste, e a proporre la fuga. E poi Filomena, la voce della saggezza, la più cauta e riflessiva, e la vanitosa Emilia che rappresenta la leggerezza e l’ironia, cui si contrappone l’austera Lauretta (un omaggio a Petrarca), tormentata da un amore segnato dalla gelosia. E ancora, la pudica Neifile, la più giovane e lieta, contrapposta alla sdegnosa Elissa, schiava di un amore infelice, il cui nome evoca la regina Didone, abbandonata da Enea. Infine, Fiammetta, capelli biondi lunghissimi, occhi scuri e labbra di rubini, è l’incarnazione dell’amore cortese e dell’eleganza intellettuale. È lei la novellatrice della quinta giornata dedicata alla felicità raggiunta dagli amanti dopo avventure o sventure straordinarie.
Il protagonista del racconto, il nobile Federigo degli Alberighi, divenuto povero per aver tentato di conquistare inutilmente l’amata Giovanna, sacrifica tutto ciò che gli resta, il suo amato falcone, per lei, sposata a un uomo di condizione elevata. Ma il lieto fine è assicurato: rimasta vedova, la donna, commossa dal gesto, lo sceglie come marito – opponendosi alla volontà dei parenti che vorrebbero un partito più ricco -, ricompensando così la sua devozione. L’amore assoluto e passionale, ammonisce Boccaccio, celebra la virtù e la nobiltà d’animo e non si fa corrodere dal guadagno. L’autore, che ha sofferto per un sentimento non corrisposto, crea un personaggio che, attraverso il sacrificio disinteressato, riesce a dimostrare il proprio valore, conquistando la donna della sua vita.
Quando giunge per i dieci il momento di tornare a Firenze, il compito di chiudere il Decameron è affidato proprio a Fiammetta, che canta una ballata sull’amore e sulla gelosia in una sorta di addio letterario alla Musa, che qui fa la sua ultima apparizione.
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