Il trionfo dei dischi live si è avuto esattamente mezzo secolo fa con l’uscita di alcuni dei migliori album dal vivo di sempre. Firmati Bob Dylan, Joni Mitchell, Frank Zappa, Van Morrison e via dicendo fino agli italiani New Trolls, PFM e Le Orme.
Ormai l’industria discografica si è praticamente dimenticata di cosa erano. I dischi dal vivo, che hanno segnato la storia del rock e del pop (ma anche del jazz e della world), non sono pressoché più pubblicati da ormai una ventina d’anni. E quando lo sono si tratta di concerti recuperati da decadi precedenti per appassionati un po’ agé. Nell’ultima classifica della rivista americana Rolling Stone dedicata ai 50 migliori dischi in concerto di sempre (datata 2015, ma non certo seguita da cd indimenticabili) gli album più recenti scelti dalla redazione sono How The West Was Won dei Led Zeppelin e New Year’s Eve 1995 dei Phish, apparsi nel 2003 e nel 2005, ma relativi a registrazioni del 1972 e del 1995.
L’importanza degli album dal vivo
A partire dagli anni Sessanta i live sono diventati un momento importante nella storia della musica giovanile. Sia perché i musicisti durante i concerti erano soliti cambiare gli arrangiamenti dei loro brani, anche quelli più famosi, per renderli più appetibili al pubblico, sia perché spesso utilizzavano le performance per testarne di nuovi e capire come rivederli e riproporli in base alle reazioni dei fans.
Per questo le vendite sono sempre state di buon livello per una trentina d’anni e anche perché da un lato quelle registrazioni rappresentavano il ricordo di un evento amato per chi aveva partecipato a uno dei live della tournée o proprio a quella esibizione e dall’altro perché erano una sorta di greatest hits degli artisti sul palco, che proponevano per solito scalette che raccoglievano il meglio del loro repertorio.
Tanto che alcune band sono rimaste famose più per i loro live che per le altre incisioni. Ricordiamo in particolare gli MC5, formidabili precursori del punk e del garage, con Kick Out The Jams del 1969 e i Cheap Trick con il fulmicotonico At Budokan di dieci anni dopo.
La fine dei live
Il “colpo di coda” delle registrazioni dal vivo furono i concerti che MTV, la celebre emittente di videoclip e poi di programmazione per i teenager, mise in cantiere per trasmetterli sulle proprie frequenze. Quegli show, preparati appositamente e poi ripresi nel circuito dei club con poca capienza di spettatori, avevano la caratteristica di essere unplugged, “senza corrente” ovvero totalmente o quasi acustici. Le canzoni dovevano perciò essere spesso completamente smontate e rimesse insieme per la nuova proposta, specie quelle degli artisti più duri e “arrabbiati”. Esempio magnifico di quella stagione durata alcuni anni dei Novanta fu il capolavoro dei Nirvana MTV Unplugged In New York del 1994.
Dopo il nulla. Sia artisticamente che economicamente. In un periodo di grande crisi del settore le etichette musicali decisero che si trattava di investimenti poco remunerativi. I gusti degli ascoltatori, e soprattutto la loro attenzione molto allentata dall’avvento della miriade di stimoli proposti da Internet, stavano cambiando velocemente, con sempre meno dedizione al long playing, la “lunga durata” degli album, e la crescente voglia di “mordi e fuggi”.
E con sempre più attrazione a generi come l’hip hop e l’elettronica, i cui artisti prediligono il lavoro in studio, e sempre meno verso il rock, salvo recenti “ripensamenti” come indica il successo planetario dei Måneskin.
I fattori che penalizzano i dischi live
Altri due fattori penalizzano ulteriormente i dischi live. Il primo sono gli show sempre più faraonici delle star maggiori, quelle che trascinano il mercato, show cui la sola ripresa musicale non rende giustizia, perché nel ricordo dei fans restano anche le mega scenografie, gli effetti speciali dei giganteschi videowall, le coreografie che si alternano sul palco e così via. L’altro, più determinante, sono le scalette delle piattaforme di musica in streaming, che sono ormai diventate il mezzo di maggiore fruizione della musica.
Se non si cercano quelle specificamente dedicate a brani dal vivo, tutte le altre li dimenticano costantemente, suggerendo agli utenti solo canzoni riprese in sala di registrazione.
Cinquant’anni fa
Rimane però indubbio che la storia del rock sia stata punteggiata, sorretta, stimolata dalle registrazioni live, che ne sono una componente essenziale. Allora è il caso di ricordare come il 1974 sia stato un anno d’oro per questi album. La qualità delle uscite infatti documentò la pienezza espressiva raggiunta dalla musica di consumo nelle sue varie branche estetiche, consolidando un livello qualitativo importante, da cui ripartirono la maggior parte delle proposte successive. Vi elenchiamo i migliori di quell’annata indimenticabile.
Partiamo da Frank Zappa, che propone il suo impareggiabile mix di rock-prog-jazz con una delle migliori formazioni delle Mothers of Invention in Roxy And Elsewhere. E’ l’album da scegliere nella pletora di riusciti live del chitarrista di Baltimora. Sono 16 finora i live di Bob Dylan, ma Before The Flood resta, anche grazie alla fidata Band di Robbie Robertson che lo accompagna, quello che sprigiona un’energia positiva mai raggiunta dal futuro premio Nobel.
In origine era addirittura un triplo LP quadrafonico Lotus dei Santana, che narra in maniera lussureggiante di suoni e colori l’evoluzione del guitar hero dalla fase iniziale rock latina. E anche quella mistica e fusion successiva. Più standard il primo lavoro dal vivo di David Bowie al culmine del suo iniziale periodo glam rock. Notevole però la band presente in David Live, condotta da un Michael Kamen destinato a diventare ottimo compositore di colonne sonore.
Gli eroi irlandesi
Quando un giornalista chiese a Jimi Hendrix, nel 1970 al vertice della fama, «cosa si prova a essere il miglior chitarrista del mondo?», ebbe come risposta «non lo so, devi chiederlo a Rory Gallagher». L’irlandese è uno degli eroi dimenticati del rock, immeritatamente. Basta ascoltare il suo live del 1974 Irish Tour che ci riporta al suo fiammeggiante blues-rock che lo ha fatto definire «la versione alchemica ed esplosiva di Eric Clapton».
Un altro irlandese, di Belfast nel nord, che in Italia ha avuto meno riconoscimenti del dovuto, è Van Morrison, cantautore dal distillato – anche in senso alcolico – mix di soul e blues, di rock e suoni celtici. Il suo doppio dal vivo It’s Too Late To Stop Now (lo dice veramente a una ragazza del pubblico nel mezzo di una canzone) è magnifico, parte dal suo debutto con i Them e arriva a perle assolute come la versione di oltre dieci minuti di “Cyprus Avenue”.
I miti americani
Nel 1974 apparve il migliore live dei Velvet Underground, 1969: Velvet Underground Live With Lou Reed, ottimo ma risaliva a un lustro prima, perciò qui ricordiamo soprattutto l’uscita di alcuni mesi precedente del primo LP dal vivo del Reed solista. Rock ‘N’ Roll Animal contiene soprattutto materiale della iconica band che ebbe come mentore Andy Warhol, ripreso con un appeal rock duro e sfrontato. Fu un grande successo.
Anche per la deliziosa songwriter canadese Joni Mitchell Miles Of Aisles fu il primo live, con il supporto della superband fusion L.A. Express, con Tom Scott e Robben Ford. La “lady del canyon” scelse di reinterpretare una serie di brani che avevano avuto fino allora poco riscontro: a chi le chiedeva a gran voce uno dei vecchi successi disse «amico, nessuno ha mai detto a Van Gogh “dipingi di nuovo una Notte stellata”».
Gli italiani del 1974
Ricordiamo ancora gli importanti On Stage del duo country rock Loggins & Messina, Live dei glam rock Mott the Hoople (nel 1974 a New York avevano come gruppo di supporto i Queen) e Fairport Live Convention del più importante gruppo folk rock inglese di sempre, ovvero i Fairport Convention.
Ricordiamo tre importanti live usciti a casa nostra. Tutti e tre i live sono intrisi di quel sapore progressive che stava traghettando la musica leggera verso l’universo pop e rock internazionale. In concerto de Le Orme offre una scarsa qualità tecnica e il manierato prog pop del gruppo. Questo con il pregio principale di proporre l’inedito e virtuosistico brano “Truck Of Fire”. Tempi dispari dei New Trolls Atomic System di Vittorio De Scalzi (l’altro troncone della band genovese, ai tempi divisa, faceva capo a Nico Di Palo) presenta due lunghe suite dall’andamento progressive e gli stimoli forti della batteria jazz di Tullio De Piscopo. Più importante di tutti fu Live In Usa della PFM, che propose anche negli States quello che inevitabilmente fu denominato “spaghetti rock”, ottenendo ottimi riscontri.
Gli italiani degli anni Duemila
Ecco alcuni album dal vivo molto interessanti usciti da noi negli anni Duemila. Partiamo dal rock alternativo degli Afterhours del doppio Siam tre piccoli porcellin (2001), per continuare con il triplo di Elio e le Storie Tese Ho fatto 2 etti e mezzo, lascio? (2004), pieno di gag e di versioni inattese, con Arena di Verona (2005), il concerto “definitivo” di Paolo Conte, con Roma Live! (2015) dei sottovalutati Baustelle, di volta in volta con l’orchestra, un quartetto d’archi e una sezione fiati. E finire con i più funky d’Italia, i Calibro 35 e il loro CLBR35 Live From S.P.A.C.E. (2016) e con i “santoni” del rap Marracash e Guè Pequeno, impegnati nel doppio Santeria Live (2017).
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