A Belém, alle porte dell’Amazzonia brasiliana, delegazioni provenienti da tutto il mondo, si sono riunite per due settimane in occasione della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP30).
Non una conferenza qualsiasi, la prima ospitata nel cuore della più grande foresta pluviale del pianeta, e soprattutto a dieci anni esatti dall’Accordo di Parigi. Un ritorno simbolico là dove la Terra respira, nella speranza di capire se il mondo possa ancora mantenere la promessa di contenere la crisi climatica.
Per molti osservatori, doveva essere la COP della verità, il luogo in cui guardare negli occhi la crisi climatica senza più finzioni diplomatiche, ma la verità che è tornata da Belém è stata più amara di quanto si sperasse.
Per i non addetti ai lavori, la COP è il grande incontro annuale in cui quasi duecento Paesi cercano di mettersi d’accordo su come ridurre le emissioni di gas serra, proteggere chi già subisce impatti climatici sempre più estremi e trovare i finanziamenti per farlo. Una macchina complessa, costruita sull’idea che tutti, grandi e piccoli, ricchi e poveri, debbano decidere insieme. È un processo multilaterale affascinante, nato per far collaborare il mondo davanti alla stessa minaccia climatica, ma a Belém si è visto quanto questo meccanismo oggi sia fragile.
Il tema più atteso della Conferenza era la famosa road map (piano d’azione, ndr) per uscire dai combustibili fossili, una bussola condivisa su tempi e modi per dire addio a petrolio, gas e carbone. Doveva essere questo il cuore politico della conferenza, la svolta capace di trasformare gli impegni astratti in un percorso concreto, e invece dopo lunghe ed estenuanti trattative negoziali, nel testo finale dell’Accordo non c’è neanche una menzione esplicita delle fonti fossili.
A rimanere è la soglia del grado e mezzo come riferimento dell’Accordo di Parigi, ma senza strumenti concreti per centrare l’obiettivo, fatta eccezione per due iniziative piuttosto vaghe e volontarie che sembrano essere più promesse di coordinamento, che decisioni operative.
Sul fronte della finanza climatica, c’è un impegno a triplicare entro il 2035 i fondi per l’adattamento. È una promessa che guarda lontano, forse troppo, considerando che per i Paesi più vulnerabili agli impatti climatici, l’urgenza non è tra dieci anni, ma oggi. Anche gli indicatori per misurare i progressi nell’adattamento, approvati formalmente, restano volontari, il che riduce molto la loro capacità di guidare politiche reali.
C’è però un segnale positivo: la creazione di un meccanismo per garantire una transizione giusta ed equa e cioè attenta ai lavoratori e alle comunità più fragili, coinvolte nei cambiamenti economici. Un’idea importante, nata soprattutto dalla pressione della società civile, anche se, senza finanziamenti adeguati, rischia di restare un guscio vuoto.
L’assenza forse più sorprendente, riguarda la deforestazione. Proprio qui, in Amazzonia, il polmone verde del pianeta, ci si aspettava un piano chiaro per proteggere le foreste, ma nel documento finale non c’è. Al suo posto è stato lanciato un fondo che però non ha raccolto le risorse necessarie a trasformarlo in uno strumento incisivo.
Intanto, nel dibattito internazionale sta emergendo una verità sempre più difficile da ignorare: il limite del grado e mezzo, non è più considerato realistico da gran parte della comunità scientifica. Resta nei documenti ufficiali, ma più come il ricordo delle speranze che furono, che come un obiettivo concreto. Eppure, quel limite non è un’opinione ma un confine fisico, oltre il quale i sistemi naturali rischiano di entrare in territori sconosciuti e irreversibili.
La conferenza sul clima di Belém non ha colmato il divario tra ambizione climatica e azione concreta, ma ha mostrato come la cooperazione internazionale, pur indebolita, resta necessaria. Ha mostrato anche che la mobilitazione dal basso, di scienziati, attivisti, comunità indigene, continua ad essere il motore più vitale di questo processo. Il multilateralismo è salvo, almeno formalmente, ma non basta salvarne l’involucro, se non si ricostruisce il suo potere di incidere sulla realtà.
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