Il campione di tennis che portò l’Italia sul tetto del mondo. Due Roland Garros, 120 vittorie in Coppa Davis e una vita vissuta tra eleganza in campo e spirito libero. Il ricordo di Binaghi, Barazzutti e del mondo dello sport.
Da Tunisi al Foro Italico
Si è spento a 92 anni Nicola Pietrangeli, unico italiano nella Hall of Fame del tennis mondiale e figura che ha segnato in modo indelebile la storia dello sport nazionale. La notizia della sua morte ha scosso l’intero movimento tennistico, che gli deve la prima vera affermazione internazionale e una tradizione di vittorie costruita proprio sulle sue gesta.
Nato a Tunisi l’11 settembre 1933 da madre francese e russa e padre abruzzese, Pietrangeli scoprì il tennis in un campo di prigionia dove il genitore era stato internato durante la guerra. Dopo l’espulsione dalla Tunisia la famiglia raggiunse Roma, scelse la cittadinanza italiana e prima di dedicarsi alla racchetta giocò nelle giovanili della Lazio. Solo quando il club lo cedette in prestito alla Viterbese, decise di abbandonare il calcio.
Sui campi del Foro Italico si formò il talento che tra il 1957 e il 1964 lo portò a essere considerato tra i dieci migliori giocatori al mondo. Arrivò al terzo posto del ranking in un’epoca in cui il professionismo non esisteva ancora e ogni partita veniva giocata per orgoglio della maglia azzurra.
Il “Signore della terra rossa”
Il 1959 e il 1960 rappresentano l’apice della carriera di Pietrangeli. Vinse per due volte consecutive il Roland Garros, diventando il primo italiano a conquistare un torneo del Grande Slam. Il suo rovescio a una mano divenne celebre sui campi parigini. Il giornalista e tennista Gianni Clerici lo definiva “indecifrabile” per i passanti e le variazioni di ritmo che lasciavano gli avversari senza risposta. Tre vittorie a Monte Carlo, due agli Internazionali d’Italia, 67 titoli complessivi in carriera. Numeri che raccontano solo in parte la grandezza di un giocatore capace di coniugare tecnica pura e intelligenza tattica.
Ma se c’è una competizione che porta inciso il nome di Pietrangeli, quella è la Coppa Davis. Ancora oggi detiene il primato mondiale assoluto per partite giocate, con 164 presenze, 78 vittorie in singolare e 42 in doppio. Con Orlando Sirola formò la coppia più vincente nella storia della manifestazione, con 34 successi in 42 partite. Due finali perse nel 1960 e nel 1961 contro l’Australia di Rod Laver e Roy Emerson .
La rivincita arrivò solo nel 1976, quando da capitano non giocatore guidò Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Antonio Zugarelli alla prima vittoria italiana, conquistata a Santiago del Cile in piena dittatura di Augusto Pinochet. Lo stesso Pietrangeli dichiarò che il suo merito maggiore fu proprio quello di portare l’Italia in Cile, vincendo la battaglia diplomatica e politica contro chi spingeva per il boicottaggio.
L’uomo, oltre il campione
Pietrangeli lascia il ricordo di un personaggio dal carattere spigoloso e dall’ironia tagliente, che visse il tennis (e la vita) con uno stile personale fatto di eleganza e spirito libero. Rifiutò ingaggi professionistici milionari negli anni Sessanta per continuare a difendere i colori azzurri in Coppa Davis. Un gesto di lealtà ancora oggi ricordato come esempio di dedizione patriottica.
Fuori dal campo alternò momenti di grande popolarità a vicende personali complesse. Sposò l’indossatrice Susanna Artero, con cui ebbe tre figli: Marco, Giorgio e Filippo. Un matrimonio che durò 15 anni, poi la separazione. Dal 1987 al 1994 ebbe una relazione con la conduttrice televisiva Licia Colò, storia che lui stesso definì “definitiva”. Per lei si trasferì a Casal Palocco, zona lontana dalla sua amata Roma nord. La rottura con la Colò lo colpì duramente e nelle interviste degli ultimi anni confessava di sperare ancora in un ritorno. Infine, lo scorso luglio, il lutto più doloroso: la morte del figlio Giorgio, stroncato da una malattia a 59 anni mentre Pietrangeli era ricoverato al Policlinico Gemelli per accertamenti.
Il saluto di tutto il tennis italiano
Angelo Binaghi, presidente della Federazione Italiana Tennis e Padel (Fitp), lo ha definito molto più di un campione. Ha raccontato di una foto nel suo ufficio che lo ritrae bambino, raccattapalle in una sfida di Coppa Davis a Cagliari, con Pietrangeli in campo davanti a lui. Quella foto, ha detto Binaghi, “rappresenta l’inizio di tutto, il momento in cui un ragazzino si innamora del tennis grazie a chi lo incarna in modo così pieno e naturale”.
Corrado Barazzutti, che con Pietrangeli ha condiviso campi e vita, lo ha ricordato come un idolo e un amico, un ambasciatore di principi e valori che ha dato tantissimo allo sport italiano. Anche i campioni come Fabio Fognini e Lorenzo Musetti hanno espresso il loro cordoglio sui social. Il presidente del Coni, Luciano Buonfiglio, ha parlato di una “scomparsa che addolora profondamente lo sport italiano”.
Negli ultimi anni Pietrangeli ha continuato a far parlare di sé, spesso contattato da giornali e televisioni dopo le vittorie di Jannik Sinner e degli altri azzurri. Il suo rapporto con il campione altoatesino fu controverso, caratterizzato da dichiarazioni critiche sullo stile di gioco e da una sotterranea competizione per il titolo di miglior tennista italiano di sempre.
Quel confronto generazionale, però, non ha scalfito l’eredità di un uomo che ha aperto la strada; che ha insegnato all’Italia a sognare in grande e a credere di poter competere ai massimi livelli mondiali.
© Riproduzione riservata
