Nel 110° anniversario della nascita, riscopriamo come il figlio di due immigrati italiani trasformò i classici natalizi in capolavori senza tempo
Il 12 dicembre 1915, in un appartamento al secondo piano del 415 di Monroe Street a Hoboken, New Jersey, nasceva Francis Albert Sinatra, figlio unico di due immigrati italiani: Natalina “Dolly” Garaventa, originaria della Liguria, e Antonino Martino Sinatra, siciliano. Nessuno avrebbe potuto immaginare che quel bambino nato con il forcipe, che portava sul viso e sul collo le cicatrici di un parto difficile, sarebbe diventato l’icona della colonna sonora di Natale per intere generazioni.
Centodieci anni dopo, mentre nelle case risuonano ancora le sue interpretazioni di Have Yourself a Merry Little Christmas, White Christmas e Jingle Bells, vale la pena raccontare come il figlio di immigrati italiani sia riuscito a catturare l’anima più intima delle feste americane, portando con sé quel calore mediterraneo che aveva respirato nei primi anni di vita.
Durante il proibizionismo, i Sinatra gestirono una taverna chiamata Marty O’Brien’s, acquistata con soldi presi in prestito dai genitori di Dolly. In quel luogo, tra gli odori della cucina italiana e clienti di ogni nazionalità, il piccolo Frank cominciò a cantare. La musica era la sua ossessione: ascoltava le band alla radio, si faceva comprare i dischi di Bing Crosby, sognava i palcoscenici.
Il Natale, per una famiglia di immigrati italiani negli anni Venti e Trenta, era il momento in cui la nostalgia per il paese lontano si mescolava alla gratitudine per la nuova vita in America. Le tavole si riempivano di piatti della tradizione: ravioli, cannoli, vino italiano. Le case risuonavano di dialetti mescolati all’inglese dei figli nati in America. Questa doppia identità, questo essere insieme italiani e americani, avrebbe segnato profondamente anche l’arte di Sinatra.
Quando nel 1957, ormai stella affermata dopo una carriera costellata di successi, Sinatra decise di registrare A Jolly Christmas from Frank Sinatra, portò nello studio di registrazione tutto il bagaglio emotivo della sua infanzia. Non voleva fare un semplice disco commerciale natalizio. Voleva catturare quella mescolanza di gioia e malinconia, di celebrazione e nostalgia, che aveva sempre caratterizzato le Feste della sua famiglia.
Gli arrangiamenti furono affidati a Gordon Jenkins, un genio dell’orchestrazione che aveva già lavorato con lui in alcuni dei suoi album più riusciti. Jenkins capì perfettamente cosa cercasse Frank: non servivano orchestrazioni semplici e prevedibili, ma architetture sonore sofisticate che trasformassero canzoni popolari in piccoli capolavori sinfonici. Per Have Yourself a Merry Little Christmas, creò un tappeto di archi che avvolgeva The Voice come una calda coperta. L’arrangiamento partiva piano, quasi sussurrato, per poi crescere in intensità emotiva senza mai diventare retorico.
Sinatra aveva un rapporto speciale con questa canzone. Nata nel 1944 per il film Incontriamoci a Saint Louis, interpretata originariamente da Judy Garland, aveva un testo piuttosto malinconico. Frank chiese agli autori di modificare alcune parole per renderla meno cupa ma senza eliminare quella dolce tristezza che la caratterizzava. Il risultato fu straordinario: la sua versione non parlava più solo di un Natale in tempo di guerra, ma di tutti i Natali in cui si sente la mancanza di qualcuno, in cui si guarda indietro con tenerezza e con un pizzico di rimpianto.
Per altri brani, come Jingle Bells e Santa Claus Is Comin’ to Town, Jenkins creò invece arrangiamenti swing, vivaci e sofisticati, che trasformavano canzoncine tradizionali in numeri da big band. Babbo Natale, nella visione di Sinatra, diventava un tipo in gamba che guidava la slitta con lo stesso stile con cui Frank affrontava un palcoscenico: eleganza, ritmo, una punta di ironia.
L’album così funzionava sia come sottofondo elegante per una cena di Natale sia come colonna sonora per momenti più riflessivi. Conteneva brani religiosi come Silent Night e Adeste Fideles, cantati con rispetto ma senza eccessiva solennità, e canzoni popolari reinterpretate con classe. Era un Natale adulto, quello di Sinatra: non quello zuccheroso delle cartoline, ma quello vero, fatto di emozioni complesse.
Ciò che rende straordinario il repertorio di Sinatra è il suo essere evergreen. Mentre tante registrazioni degli anni Cinquanta oggi appaiono datate, le sue canzoni di Natale conservano una freschezza sorprendente. Forse perché i temi che toccano sono universali: la famiglia, i ricordi, la speranza, quella gioia mescolata a tristezza che accompagna sempre le feste più importanti.
Il figlio di Dolly e Anthony è così riuscito nell’impresa più difficile per un figlio di immigrati: diventare profondamente americano senza rinnegare le proprie radici. Il suo Natale era – ed è – italiano nel calore e nell’emozione, americano nella forma e nel suono. E oggi, mentre le sue canzoni accompagnano la festa più attesa dell’anno, riecheggia l’eco di quel bambino che cantava sul pianoforte di una taverna, sognando palcoscenici lontani e Natali pieni di musica.
TUTTI GLI ARTICOLI DI ANNA COSTALUNGA
© Riproduzione riservata
