A Ferrara, oltre duecento opere svelano il percorso esistenziale del Maestro: dal villaggio in fiamme della giovinezza all’amore per Bella e Vava. Un viaggio vertiginoso che fonde la memoria dell’infanzia con le tragedie del Novecento
“Sono nato morto”, scrive Marc Chagall (1887-1985) nella sua autobiografia. Il primo ricordo dell’artista, originario di Vitebsk – un piccolo abitato nell’attuale Bielorussia -, è infatti quello della sua casa in fiamme a causa dell’attacco antisemita dei cosacchi dello zar, del villaggio messo a ferro e fuoco, le piccole abitazioni di legno incendiate, e la fuga, tra le braccia della madre ancora debole per il parto. È un’immagine che tornerà spesso, seppure ricontestualizzata, nelle opere del pittore.
Il piccolo mondo del suo villaggio, “il paese che ho nell’anima”, lo definisce, costituisce l’impalcatura del suo immaginario: le isbe con i tetti di legno, la cupola verde della chiesa ortodossa, il rabbino errante e il violinista che suona attraversando i cieli da oriente a occidente, diventano la grammatica dei suoi racconti. A Ferrara, una mostra, a cura di Francesca Villanti e Paul Schneiter, indaga il percorso esistenziale e artistico di Chagall, immergendolo nel suo tempo e nei luoghi che lo hanno ispirato: dalla Russia a Parigi, la città della sua formazione, dagli Stati Uniti, dove visse da esule, fino alla Costa Azzurra, dove è rimasto fino alla morte e dove è sepolto in una semplice tomba nel cimitero di Saint-Paul de Vence. Le oltre duecento opere esposte compongono, spiega Villanti, «il laboratorio segreto di Marc Chagall». Qui «il tempo sembra sottrarsi alle leggi della fisica. Sposi che sorvolano campanili, violinisti sui tetti di Vitebsk, profeti biblici accanto a capre azzurre compongono immagini in cui la memoria dell’infanzia si fonde con la cronaca del presente in un’unica, vertiginosa simultaneità». Dietro questo mondo apparentemente anarchico si cela in realtà «la lucidità di chi ha attraversato il Novecento come un equilibrista, fino a trasformare la propria esistenza in linguaggio universale». Solo così la casa di Vitebsk si può affacciare su un boulevard di Parigi, la città che lo ha accolto e formato, e i fiori di Bella, la moglie amata scomparsa troppo presto, possono adornare il bouquet di Vava, la seconda donna che lo ha affiancato, testimonianza di un amore che sopravvive al tempo. Solo così la memoria biblica può rispondere alle tragedie del Novecento.
La mostra si snoda in un percorso cronologico che parte dalle origini, dalla giovinezza a Vitebsk. I ricordi di quel tempo diventano un patrimonio vivo, che continua a generare significato e bellezza nelle infinite trasformazioni dell’arte anche quando la cittadina viene distrutta durante la Seconda guerra mondiale. La seconda sezione è dedicata agli anni parigini e all’importante commissione, da parte di Ambroise Vollard – il mercante che aveva scoperto e consacrato i più grandi artisti del suo tempo – della illustrazione de Le Favole di La Fontaine, uno dei testi più emblematici della cultura francese. Le incisioni ad acquaforte testimoniano non solo la maestria tecnica raggiunta da Chagall, ma anche la sua capacità di dialogare con la grande tradizione europea senza tradire la propria identità.
Centrale nell’opera di Chagall è il tema dell’Esodo. Il libro biblico (al centro di una serie di straordinarie tele donate dall’artista al museo da lui fondato a Nizza) diventa la chiave di lettura per interpretare eventi contemporanei che toccano da vicino l’artista (costretto durante la Seconda guerra mondiale a fuggire in America) e il suo popolo. Così la cronaca si trasforma in mito universale.
Dopo l’esilio, Chagall torna a Parigi e dedica alla città una serie di straordinarie litografie in cui la Ville Lumière diviene riflesso del cuore dell’artista, città interiore e simbolo universale, sinfonia di memorie, palcoscenico del sogno e della metamorfosi.
La luce del Mediterraneo, che illumina le sue giornate a Vence, in Costa Azzurra (un «alleato spirituale che lo aiuta a trasformare il dolore in grazia»), si riflette nelle vetrate realizzate in questi anni, barriere trasparenti “tra il mio cuore e il cuore del mondo”, scrive. Alle vetrate è dedicata un’intera sezione espositiva. Altro tema importante è quello dei fiori, un motivo ricorrente nelle opere dell’artista. “Si può pensare a lungo sul senso dei fiori – scriveva – ma per me sono la vita stessa nella sua smagliante felicità”.
Conclude il percorso un’opera mai esposta ma particolarmente attuale, La Pace, dipinta nel 1949, al ritorno dall’esilio americano. Dopo anni di guerra e sradicamento, l’artista affida a una colomba bianca il suo messaggio di speranza. «Non è retorica – spiegano i curatori – ma necessità: chi ha vissuto la fuga, l’esilio, la perdita della patria, sa quanto fragile e preziosa sia la pace». La Pace conferma Chagall «come testimone del suo tempo: un artista che non ha mai distolto lo sguardo dalla storia, ma l’ha attraversata mantenendo intatta la fiducia nell’arte. Emerge la convinzione che la bellezza possa ancora vincere sulla distruzione, che l’immaginazione possa ancora costruire mondi migliori, dove l’amore e la memoria restano le uniche armi contro l’oblio».
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