Urbanizzazione e mutamenti sociali hanno acuito la solitudine degli anziani. Di fronte al rischio di isolamento è necessario ripensare l’abitare per la terza età
Negli ultimi decenni i mutamenti sociali hanno rivoluzionato modi e stili di vita. L’urbanizzazione è stata uno dei motori principali del cambiamento, concentrando un numero sempre più alto di persone in aree ristrette. Un aumento di densità che ha generato sviluppo e opportunità, da un lato, ma che ha anche creato il paradosso di una maggiore solitudine, dall’altro. Nonostante l’estrema vicinanza fisica, sono nate nuove forme di isolamento: dal 2009 oltre il 50% della popolazione mondiale risiede in aree urbane, eppure il tessuto relazionale sembra essersi progressivamente indebolito.
Anche la famiglia è cambiata, sia nella composizione che nel numero medio dei suoi membri. In Italia siamo passati da una struttura prevalentemente tradizionale a una moderna. Secondo l’Istat, dal 1995 a oggi, il numero complessivo delle famiglie è aumentato mentre si è drasticamente ridotto il numero medio dei componenti. Sono diminuite le famiglie più numerose (con 5 o più membri) e si è registrato un incremento di quelle unipersonali, che oggi rappresentano circa un terzo del totale. È il segnale di trasformazioni demografiche e sociali le cui ragioni sono diverse. Da una parte, infatti, c’è l’invecchiamento della popolazione (nel 2025 l’aspettativa di vita in Italia ha raggiunto il suo massimo storico: 83,4 anni), dall’altra il declino della coabitazione intergenerazionale (rispetto al passato è meno comune che diverse generazioni vivano sotto lo stesso tetto). In parallelo c’è stato un significativo cambiamento nelle relazioni di coppia. Sono diminuiti i matrimoni e cresciute le convivenze, mentre l’aumento di separazioni e divorzi ha contribuito alla formazione di nuovi nuclei familiari composti da una sola persona. A completare il quadro il calo della fecondità, che ha ridotto il numero complessivo di nuclei familiari con prole.
Siamo di fronte ad un’evoluzione demografica che ha trovato la sua espressione nell’aumento della popolazione anziana. Nel 1961 gli anziani in Italia erano 4,8 milioni (il 9,5% della popolazione), oggi con oltre 14 milioni (il 24,7%, dati Istat 1° gennaio 2025) siamo il Paese più longevo dell’Ue. Con un invecchiamento così rapido, tra denatalità e transizione demografica, il rischio è che la solitudine diventi un sottoprodotto dell’anzianità. Lo stesso aumento dei nuclei familiari unipersonali tra gli anziani è un allarme sociale che non può essere ignorato. Attualmente, il 10,8% dei nuclei familiari in Italia è composto da over 75 che vivono soli, e le proiezioni Istat indicano che questa percentuale salirà al 15% entro il 2043. Questa crescente solitudine non è un mero dato statistico, ma si traduce in una maggiore incidenza di malattie fisiche, depressione e declino cognitivo.
In un contesto demografico che vede sempre più anziani privi di reti di sostegno, serve un cambio di rotta. Viviamo in contesti urbani solo all’apparenza stimolanti. Ospitano un gran numero di esseri umani, ma privi di relazioni vere. Viviamo in città fatte di umanità distanti fra loro e dai volti sfumati, di “non luoghi” dell’esistenza, di spazi di passaggio dove le generazioni anziché incontrarsi e raccontarsi finiscono per perdersi in un labirinto di anonimato, senza più riconoscersi l’una nell’altra. In un’epoca in cui il bisogno di connessione e comunità si scontra con una crescente frammentazione sociale, possiamo ripartire dal modo in cui viviamo e interagiamo. L’emergenza richiede una riprogettazione del nostro modo di abitare la terza età, cercando soluzioni abitative innovative che siano capaci di ricostruire legami, partecipazione e garantire un invecchiamento attivo e dignitoso.
Che occorra adottare misure per rendere le città più inclusive per i senior, lo sostiene anche l’ultimo rapporto dell’Ocse, Cities for All ages. Nei prossimi anni la popolazione over 65 dei 35 Paesi che vi aderiscono passerà dal 20,9% del 2020 al 27,9% del 2040. Senza politiche adeguate, le città rischiano perdita di produttività, aumento della spesa pubblica e incremento dell’isolamento. Per evitarlo occorre lavorare – tra le altre cose – a soluzioni abitative che favoriscano coabitazione e invecchiamento in casa. Proprio come il cohousing. Vanno ripensati gli spazi abitativi e le relazioni interpersonali per colmare questo divario. Il cohousing per anziani emerge allora come una soluzione abitativa chiave, capace di contrastare gli effetti dannosi dell’isolamento.
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