Sono il pilastro su cui si reggono milioni di famiglie al rientro tra i banchi. Un ruolo che va oltre l’aiuto pratico, fino a diventare un riferimento emotivo ed educativo
C’è un suono che a settembre segna la fine delle lunghe giornate estive e il ritorno a una routine precisa e rassicurante: la prima campanella dell’anno scolastico. In milioni di famiglie italiane, quella sveglia trilla forte anche per i nonni. Sono loro l’esercito silenzioso e prezioso che si rimette in moto, trasformando le proprie giornate per accompagnare, accudire e sostenere i nipoti nella grande avventura del ritorno in classe. Quantificare con esattezza il loro contributo è complesso. L’ultima fotografia sul tema la fornisce il report Istat Famiglie, reti familiari, percorsi lavorativi e di vita pubblicato nel 2022, che mostra come un terzo dei nonni si prenda cura abitualmente dei nipoti. Ma l’assenza stessa di statistiche più recenti racconta di un welfare ‘invisibile’, spesso dato per scontato, che regge l’organizzazione familiare senza bisogno di essere misurato. E anche se definirli “ammortizzatori sociali” è corretto, risulta essere piuttosto riduttivo. Il loro non è solo un supporto logistico, ma un insostituibile contributo educativo ed emotivo alla crescita dei bambini. Per capire davvero cosa significhi questo “ritorno a scuola”, abbiamo ascoltato le loro voci: quelle dei nonni che, ogni giorno, condividono con i nipoti il percorso casa-scuola e, spesso, molto di più.
Settembre, si torna scuola. Come cambia la routine quotidiana di un nonno?
«Per me è piacevole ricominciare – dice Antonio, 75 anni – perché mi mette in relazione con tutto il mondo oltre che in relazione stretta con i miei nipoti. Che poi è il fine ultimo a cui ogni nonno, direttamente o indirettamente, aspira. Quando c’è l’impegno di portare i nipoti a scuola, riprendo un ritmo che mi ricorda vagamente quando mi alzavo per andare al lavoro. E questo mi fa sentire vivo, importante».
Per Maria, 74 anni, “il ritorno a scuola viene dopo un periodo di vacanza, privo di impegni particolari. «Ricominciare ad accompagnare i bambini è un impegno che svolgo con affetto e gioia, non lo vedo come un lavoro. Portare i bambini a scuola è anche una grande occasione per conoscersi, scambiarsi sensazioni, soprattutto al mattino».
C’è poi l’esperienza di Tiziana, che ha appena compiuto 67 anni: «Da quando è venuto a mancare mio marito il ritorno a scuola dei miei nipoti è anche un modo per tenermi viva, nel vero senso della parola. Mi dà uno scopo. Al mattino li accompagno io, perché i genitori iniziano a lavorare presto. Poi magari torno a casa, mi preparo qualcosa, ma sto già pensando al pomeriggio. Anche perché a volte li tengo ancora un po’, facciamo i compiti insieme, si chiacchiera. Insomma, divento la loro base, come una stazione dove si torna sempre».
«Fino ad agosto, relax puro, ma appena arriva settembre, sto sempre con l’orologio in mano – ride Agostino, 72 anni -. Una corsa costante: mi sveglio presto, colazione più rapida di quello che vorrei, poi vado in macchina a casa di mio figlio e carico i miei due nipoti. Ma le dico la verità, mi fa sentire utile, ancora “dentro la vita”».
Qual è il momento più bello nel tragitto che porta a scuola?
«Io personalmente non li accompagno – ci dice Rossella 73 anni -, a me tocca il ritorno. Però quando la sera prima per telefono mi dicono “Nonna, mi vieni a prendere tu domani, vero?”, lì mi si stringe il cuore e penso che tutta la fatica vale la pena, per quella fiducia lì».
Per Antonio il viaggio verso l’edificio scolastico è momento fondamentale, in cui ci si scambiano i primi pensieri della giornata. «Una volta arrivati a scuola, lascio i bambini salire la scalinata che li porta in classe e sento la sensazione gratificante di aver assolto al compito. Poi do comunicazione con un messaggio WhatsApp ai genitori che i bambini sono entrati con successo: missione compiuta».
Camminare lentamente, assaporando ogni passo. «Mentre andiamo – racconta Agostino – mi dicono poche parole piene di sonnolenza, magari mi raccontano un sogno fatto la notte. Poi, quando arriviamo davanti al cancello e mi danno un bacetto veloce, quella è la ciliegina».
«La sensazione emotivamente più gratificante? Quando esco di casa e mia nipote cerca istintivamente la mia mano e mi dà la sua – dice quasi commossa Maria -. In quel momento c’è una connessione totale, irripetibile».
Come gestisce le giornate ‘no’, quando i nipoti tornano a casa nervosi o tristi?
«Non faccio mai troppe domande – dice Agostino – all’inizio, poi non riesco a vederlo in quella situazione e cerco di scoprire il motivo del muso lungo. A volte mio nipote mi parla, a volte no. Ma va bene lo stesso, l’importante è che sappia che io ci sono e non lo giudico».
Quei giorni lì nonna Rossella li riconosce subito: «Arrivano da scuola a casa senza salutare, mollano lo zaino in un angolo e poi vogliono vedere la tv. Allora io non insisto. Prima una merenda, un abbraccio se lo vogliono, e poi piano piano provo a farmi raccontare cosa è successo. E magari, il segreto sta proprio in una buona merenda».
«Con mio nipote abbiamo un rito tutto nostro – racconta Tiziana -. Vedo che è triste ma non dico niente; poi, quando siamo a casa, preparo un toast con prosciutto cotto e formaggio. Quando è pronto glielo metto davanti e un sorriso, alla fine, ci scappa sempre».
Può capitare di sentirsi solo un “nonno babysitter”?
«Forse quando i nipoti erano molto più piccoli – afferma Antonio -. Li accompagnavo al nido e poi, oltre ad un sorriso, il mio ruolo finiva là. Ora i bambini sono cresciuti, stanno diventando ragazzi con cui ho sviluppato una confidenza intima, profonda, costruita da tanti anni di “solo accompagnamento”».
Anche Tiziana non si è mai sentita una babysitter. «Quando mi occupo dei bambini in qualche modo li sto educando, sto dando loro un esempio. Se parliamo delle maestre, insegno il rispetto; quando litigano con altri compagni cerco di spegnere i loro sfoghi e spiego che si deve riuscire anche a perdonare. Stanno con me mezz’ora prima di andare a scuola e tre ore dopo la scuola, non mi sembra di avere un ruolo tanto marginale».
Il pensiero di Maria è ancora più diretto. «Credo che la figura dei nonni, oggi, sia addirittura più importante di prima. Le faccio un esempio: mia figlia lavora nel privato e quasi non ha orari. A volte esce anche alle 20 e io devo far fare i compiti ai bambini, oltre che intrattenerli, sostenerli e anche educarli. In quelle ore passate insieme parliamo di quello che è successo a scuola, se ci sono stati problemi; e io mi accorgo se, oltre i racconti sulle gomme da cancellare rubate, ci sono questioni più importanti, qualche comportamento anomalo o addirittura piccoli episodi di bullismo».
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