Identificato l’interruttore energetico delle cellule che potrebbe rivoluzionare la terapia della malattia
Un interruttore capace di regolare l’energia all’interno delle cellule, un dispositivo microscopico che decide quando eliminare le componenti danneggiate e quando produrne di nuove. Questo meccanismo biologico esiste e ha un nome: fosfatasi B55. Un gruppo di ricercatori italiani ne ha scoperto il ruolo e ora guarda con ottimismo alle possibilità terapeutiche per chi convive con il Parkinson. La ricerca, frutto della collaborazione tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Università Roma Tre, ha dimostrato che riducendo l’attività di questa molecola in modelli animali, i sintomi motori caratteristici del Parkinson migliorano sensibilmente.
Le centrali energetiche sotto osservazione
Per comprendere l’importanza della scoperta bisogna partire dai mitocondri, minuscole strutture che funzionano come vere e proprie centrali elettriche biologiche, fornendo alle cellule l’energia necessaria per svolgere le loro funzioni vitali. Ma come ogni impianto energetico, anche i mitocondri invecchiamo, si danneggiano e devono essere sostituiti. Nelle cellule sane esiste un equilibrio perfetto: i mitocondri malfunzionanti vengono rimossi mentre ne nascono di nuovi per rimpiazzarli. Quando questo delicato bilancio si spezza, le conseguenze sono serie. Nel Parkinson i neuroni dopaminergici – quelli che producono la dopamina, fondamentale per il controllo dei movimenti – muoiono anche a causa di problemi legati proprio ai mitocondri.
Il doppio ruolo della fosfatasi B55 nel Parkinson
Francesco Cecconi, professore ordinario di Biochimica all’Università Cattolica, e Valentina Cianfanelli dell’Università Roma Tre hanno coordinato il team che ha svelato il meccanismo d’azione della fosfatasi B55. Questa molecola agisce come un direttore d’orchestra cellulare, gestendo due processi apparentemente opposti ma complementari. Da una parte stimola la mitofagia, un processo di pulizia selettiva che rimuove i mitocondri danneggiati prima che diventino pericolosi per la cellula. Dall’altra controlla la nascita di nuovi mitocondri, impedendo che se ne formino troppi. Il risultato è un equilibrio dinamico che mantiene la cellula in salute. Interessante è il legame scoperto tra la fosfatasi B55 e la proteina Parkin, già nota agli studiosi del Parkinson per il suo coinvolgimento nella malattia. Le due molecole lavorano insieme, e questa interazione funzionale rappresenta un tassello fondamentale del puzzle che i ricercatori stanno componendo.
Dai moscerini alle prospettive terapeutiche
Gli scienziati hanno testato la loro ipotesi utilizzando esemplari di Drosophila, il comune moscerino della frutta, geneticamente modificati per sviluppare sintomi simili a quelli del Parkinson. Riducendo i livelli di fosfatasi B55 in questi insetti, i ricercatori hanno osservato miglioramenti sia nei movimenti sia nelle alterazioni dei mitocondri. Un risultato che ha acceso l’entusiasmo del gruppo di ricerca e aperto nuovi scenari terapeutici, fino a poco tempo fa impensabili. L’obiettivo futuro è sviluppare molecole di piccole dimensioni capaci di attraversare la barriera emato-encefalica – quella membrana protettiva che separa il sangue dal tessuto cerebrale – e raggiungere selettivamente i neuroni dopaminergici. Queste molecole potrebbero modulare l’attività della fosfatasi B55, proteggendo i neuroni dalla degenerazione che caratterizza il Parkinson.
Oltre la malattia di Parkinson
Le implicazioni di questa scoperta vanno ben oltre la singola patologia. I ricercatori romani intravedono applicazioni potenziali in un ampio spettro di condizioni cliniche legate al malfunzionamento mitocondriale: dalle miopatie mitocondriali, malattie rare che colpiscono i muscoli, ad altre patologie neurodegenerative ancora prive di cure efficaci. Ma c’è dell’altro. I mitocondri giocano un ruolo anche nei tumori, dove la loro plasticità permette alle cellule cancerose di adattarsi e resistere alle terapie. Controllare l’attività della fosfatasi B55 potrebbe quindi rappresentare una strategia innovativa anche in ambito oncologico, aprendo fronti di ricerca completamente nuovi.
La strada futura
La fosfatasi B55, da sconosciuta molecola cellulare, potrebbe diventare nei prossimi anni un nome familiare per chi cerca soluzioni contro il Parkinson. Come sottolineano gli autori dello studio, il percorso dalla scoperta scientifica alla terapia disponibile per i pazienti è ancora lungo. I prossimi passi prevedono l’identificazione di molecole sicure ed efficaci da testare in modelli preclinici più complessi e in cellule umane. Solo dopo questa fase sarà possibile pensare a sperimentazioni cliniche sull’uomo. Tuttavia, la ricerca italiana rappresenta un punto di partenza importante. Aver identificato un meccanismo molecolare così preciso offre un bersaglio terapeutico definito, elemento essenziale per lo sviluppo di farmaci mirati.
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