Meno nascite e meno matrimoni: il paese africano che ha accelerato i tempi della storia demografica
Quello che accade in Tunisia non è solo una questione di numeri o statistiche. È la storia di una società che ha saputo accelerare il proprio percorso di modernizzazione, affrontando cambiamenti strutturali che toccano ogni aspetto della vita quotidiana. Dalla famiglia al lavoro, dall’educazione al welfare, nulla è rimasto come prima. La velocità con cui la Tunisia ha completato la propria transizione demografica lascia stupefatti gli esperti. Mentre i paesi europei hanno impiegato generazioni per passare da società ad alta natalità e mortalità a società moderne a bassa natalità, la Tunisia ha bruciato le tappe in meno di mezzo secolo. Il processo si è articolato attraverso fasi ben definite. Durante gli anni Sessanta e Settanta, il paese ha sperimentato quella che i demografi chiamano “esplosione demografica”: la mortalità è calata rapidamente grazie ai progressi sanitari, mentre la natalità rimaneva ancora elevata. Il risultato è stato un boom delle nascite che ha caratterizzato la generazione post-indipendenza.
I numeri della trasformazione
Le cifre dell’Institut National de la Statistique tunisino raccontano una storia di cambiamenti radicali. Il tasso di fecondità, che al momento dell’indipendenza nel 1956 si attestava intorno ai sette figli per donna, è precipitato fino ai 2,01 figli per donna del 2023. Un calo che ha portato il paese stabilmente sotto la soglia di sostituzione di 2,1 figli per donna, necessaria per mantenere stabile la popolazione. La transizione demografica tunisina emerge chiaramente anche dai dati sulla natalità. Le nascite registrate nel 2023 sono state 200.900, in netto calo rispetto alle 210.400 del 2016. Questo declino risulta ancora più significativo se si considera che il numero di donne in età fertile è contemporaneamente aumentato. Il tasso di natalità è sceso a 16,8 nati per mille abitanti, mentre quello di mortalità si mantiene sui 6,8 morti per mille abitanti. L’età mediana della popolazione tunisina si attesta sui 32,9 anni, un dato che colloca il paese più vicino ai parametri europei che a quelli africani. I dati della Banca Mondiale confermano questa tendenza: la speranza di vita ha raggiunto i 77,5 anni, con 74,5 anni per gli uomini e 80,6 per le donne, valori che testimoniano l’efficacia delle politiche sanitarie implementate nel corso dei decenni.
Le radici politiche del cambiamento
La transizione demografica tunisina non sarebbe stata possibile senza le scelte politiche pionieristiche del presidente Habib Bourguiba. Nel 1964, l’introduzione del Code du Statut Personnel ha rappresentato una rivoluzione culturale e sociale senza precedenti nel mondo arabo. Questo codice ha abolito la poligamia, istituito il divorzio giudiziario e fissato l’età minima per il matrimonio a 17 anni per le donne, successivamente elevata a 18. Parallelamente, il governo ha lanciato un ambizioso programma nazionale di pianificazione familiare, garantendo facile accesso alla contraccezione e promuovendo campagne informative capillari. “Meglio due figli cresciuti bene che dieci malnutriti” divenne uno degli slogan più efficaci di quegli anni, sintetizzando perfettamente la filosofia delle nuove politiche demografiche. L’istruzione femminile ha rappresentato l’altro pilastro fondamentale di questa rivoluzione. La scolarizzazione delle ragazze è diventata pressoché universale, con risultati straordinari: oggi oltre il 70% degli studenti universitari sono donne. Questo dato non è solo simbolico, ma ha conseguenze concrete sui comportamenti riproduttivi. Le donne istruite tendono a sposarsi più tardi, ad avere meno figli e a investire maggiormente nelle proprie carriere professionali.
La rivoluzione del matrimonio tardivo
Uno dei fenomeni più eclatanti della transizione demografica tunisina riguarda i cambiamenti nei modelli matrimoniali. Il numero di matrimoni è crollato verticalmente, passando da oltre 100.000 celebrazioni annue all’inizio degli anni Duemila ai 71.800 del 2023. Ma ancora più significativo è l’innalzamento dell’età media al primo matrimonio: 33 anni per gli uomini e 30,5 per le donne. Questo posticipo ha conseguenze dirette sulla fecondità. Le donne che si sposano a trent’anni hanno una finestra riproduttiva molto più ristretta rispetto a quelle che contraggono matrimonio a vent’anni. Il risultato è una riduzione non solo del numero di figli per coppia, ma anche della probabilità di averne del tutto. Il fenomeno non è casuale ma riflette profondi cambiamenti socio-economici. La disoccupazione giovanile, che in Tunisia supera stabilmente il 30%, impedisce ai giovani uomini di raggiungere quella stabilità economica tradizionalmente considerata prerequisito per il matrimonio. Contemporaneamente, l’aumento del costo della vita rende economicamente proibitivo per molte coppie giovani mantenersi autonomamente e pensare a progetti familiari a lungo termine.
L’ingresso delle donne nel mondo del lavoro
L’emancipazione femminile rappresenta un altro fattore chiave della transizione demografica tunisina. Nonostante la disoccupazione femminile rimanga ancora elevata, il tasso di attività lavorativa delle donne è aumentato considerevolmente rispetto al passato. Questo cambiamento ha portato le donne a posticipare il matrimonio e la maternità per costruire una propria indipendenza economica e professionale. Il fenomeno si inserisce in un più ampio cambiamento culturale che ha visto affermarsi nuovi modelli familiari. Aumentano le coppie di fatto, i single per scelta e i divorzi, mentre si riduce la pressione sociale per sposarsi e fare figli in giovane età. La famiglia tradizionale numerosa cede il passo a modelli più flessibili e individualizzati.
Le sfide dell’invecchiamento demografico
La transizione demografica tunisina pone oggi il paese di fronte a sfide inedite per l’intero continente africano. La popolazione anziana, rappresentata dagli over 60, che oggi costituisce circa il 12% del totale, potrebbe raggiungere il 25% entro il 2050 secondo le proiezioni demografiche. Questo invecchiamento accelerato mette sotto pressione il sistema pensionistico, basato sul metodo a ripartizione dove i lavoratori attuali finanziano le pensioni di chi è già in quiescenza. Con sempre meno giovani che entrano nel mercato del lavoro e sempre più anziani che vanno in pensione, l’equilibrio del sistema diventa sempre più precario. Il paese dovrà affrontare riforme difficili che potrebbero includere l’aumento dell’età pensionabile e l’incremento dei contributi previdenziali. Anche il sistema sanitario nazionale dovrà adattarsi alla nuova realtà demografica. La domanda di servizi sanitari geriatrici e per la cura delle malattie croniche legate all’età crescerà esponenzialmente, richiedendo un ripensamento dell’intera offerta sanitaria pubblica. Ospedali, personale medico e risorse finanziarie dovranno essere riorganizzati per rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana.
Implicazioni economiche e sociali
Le conseguenze della transizione demografica tunisina si estendono ben oltre gli aspetti puramente quantitativi. Un paese con meno giovani e più anziani consuma beni e servizi diversi, modificando profondamente i modelli economici consolidati. Ci sarà bisogno di meno scuole e più case di riposo, di meno abbigliamento per bambini e più servizi sanitari specializzati. Il rischio di una carenza di manodopera a lungo termine è concreto. Se la tendenza attuale dovesse persistere, la Tunisia potrebbe trovarsi ad affrontare un calo della popolazione in età lavorativa, con conseguente ristagno economico. Alcuni esperti suggeriscono che il paese potrebbe dover ricorrere all’immigrazione per compensare il deficit demografico, un’ipotesi che fino a qualche decennio fa sarebbe stata impensabile. La trasformazione sociale è altrettanto profonda. La struttura familiare tradizionale, basata su nuclei numerosi e solidarietà intergenerazionale, sta cedendo il passo a modelli più individualizzati. Questo cambiamento richiede l’adattamento delle politiche sociali e dei sistemi di welfare per rispondere ai nuovi bisogni emergenti.
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