Dal meeting medico ASCO di Chicago arrivano importanti risultati: sono state sperimentate terapie che rallentano la progressione del carcinoma della prostata e migliorano il benessere dei pazienti.
Un tumore che riguarda 1 uomo su 8
Il carcinoma prostatico si conferma come la forma tumorale più diffusa nella popolazione maschile sopra i 50 anni. Secondo i dati contenuti nel report “I numeri del cancro in Italia 2024“, pubblicato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), si stima che nel nostro Paese saranno diagnosticati oltre 40mila nuovi casi solo nel 2024.
Questo significa che circa un uomo su otto riceverà questa diagnosi nel corso della vita. La buona notizia è che la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi ha raggiunto il 91%, un dato che riflette i continui progressi in ambito terapeutico. Ma se un tempo l’obiettivo era solo vivere più a lungo, oggi la medicina punta anche a vivere meglio, garantendo una qualità della vita dignitosa durante tutto il percorso di cura.
ASCO 2025: segnali positivi dalla ricerca internazionale
Proprio questo è stato uno dei temi centrali emersi dal congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), che si è tenuto a Chicago dal 30 maggio al 4 giugno.
Qui sono stati condivisi i risultati di nuovi studi clinici che aprono prospettive concrete per i pazienti colpiti da forme avanzate della malattia. In particolare, l’attenzione si è concentrata sull’efficacia della combinazione tra darolutamide e la tradizionale terapia di deprivazione androgenica (ADT), utilizzata per ridurre la produzione degli ormoni maschili che alimentano la crescita tumorale.
Nei pazienti con carcinoma prostatico metastatico sensibile alla castrazione (mCSPC), l’associazione ha portato a un miglioramento significativo della qualità della vita. Il dolore oncologico e i sintomi urinari si sono manifestati più tardi rispetto a quanto accade con la sola terapia ormonale, mentre il benessere complessivo è rimasto più stabile nel tempo.
Miglioramenti concreti nella qualità della vita
Questi risultati derivano da un’approfondita analisi dello studio clinico di fase 3 “ARANOTE”. L’integrazione di darolutamide all’ADT ha permesso di posticipare in modo significativo il peggioramento dei sintomi e dello stato funzionale dei pazienti.
In particolare, si è osservato un allungamento di circa cinque mesi nel tempo medio necessario perché il punteggio del FACT-P (un questionario che valuta il benessere nei pazienti oncologici) iniziasse a peggiorare: 16 mesi con darolutamide rispetto agli 11 mesi con placebo. Una situazione che può fare la differenza concreta nella vita quotidiana.
Progressi anche contro le metastasi ossee
Sempre nell’ambito dell’ASCO, due studi clinici hanno acceso i riflettori sul radio-223 dicloruro, un radiofarmaco alfa-emittente autorizzato per trattare pazienti con carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione, in presenza di metastasi ossee.
Si tratta di una molecola in grado di colpire direttamente le cellule tumorali nelle ossa, sede di metastasi frequenti in questi pazienti. In combinazione con enzalutamide, un farmaco ormonale che agisce bloccando il recettore degli androgeni, il radio-223 ha mostrato risultati promettenti. I dati raccolti indicano una riduzione del 31% del rischio di progressione della malattia o di morte rispetto alla sola enzalutamide, con un chiaro vantaggio in termini di sopravvivenza libera da progressione (ovvero il tempo in cui la malattia non peggiora).
Nuove combinazioni terapeutiche all’orizzonte
Un ulteriore elemento di novità è rappresentato dall’analisi aggiornata dello studio “PEACE III”, che ha valutato l’efficacia della combinazione tra radio-223 dicloruro ed enzalutamide. I risultati hanno confermato miglioramenti nei parametri di risposta clinica, in particolare nei livelli di PSA (il marcatore tumorale tipico del carcinoma prostatico) e di ALP (un enzima legato all’attività tumorale nelle ossa). Si tratta di indicatori importanti per valutare l’andamento della malattia e la risposta alle cure.
Un nuovo paradigma per curare il tumore alla prostata
Le evidenze cliniche presentate all’ASCO suggeriscono un cambiamento profondo nel modo di affrontare il carcinoma della prostata in fase avanzata. Le terapie combinate che affiancano farmaci ormonali a radiofarmaci o a inibitori delle proteine coinvolte nella riparazione del DNA sembrano in grado di offrire una doppia vittoria: prolungare la vita e mantenerla il più possibile libera dai sintomi invalidanti.
Il tumore alla prostata, pur rimanendo una delle forme più comuni di neoplasia maschile, è oggi una malattia sempre più gestibile, grazie a cure mirate e percorsi terapeutici personalizzati. Se fino a qualche anno fa la sopravvivenza rappresentava il traguardo massimo, oggi si punta anche a garantire una buona qualità di vita durante e dopo il trattamento. Con nuove opzioni in arrivo e studi clinici ancora in corso, l’orizzonte per pazienti e medici è sempre più incoraggiante.
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