Il sottomarino è ora il simbolo della sicurezza trascurata e dell’ambizione senza limiti. Le anticipazioni “scioccanti” del documentario su Netflix
Esattamente due anni fa il sottomarino Titan, della compagnia statunitense OceanGate, scompare durante una spedizione verso i resti del Titanic. A bordo cinque persone, tra cui il miliardario britannico Hamish Harding, il magnate pakistano Shahzada Dawood con il figlio diciannovenne Suleman, l’esperto sommozzatore francese Paul-Henri Nargeolet e il fondatore della stessa OceanGate, Stockton Rush. Quella che in un primo momento appare come un’operazione di salvataggio contro il tempo – con un conto alla rovescia drammatico scandito dalle 96 ore di ossigeno disponibili – si rivela presto una tragica missione di recupero. Il Titan è imploso a 3.300 metri di profondità, appena 90 minuti dopo l’inizio dell’immersione. Nessuno è sopravvissuto.
La tragedia già scritta del Titan
A distanza di un anno, Netflix ha ricostruito l’intera vicenda nel documentario “Titan: The OceanGate Disaster” il cui contenuto è anticipato dal Guardian. Diretto da Mark Monroe, il film ha raccolto materiali inediti, testimonianze esclusive e documenti interni all’azienda OceanGate responsabile del sottomarino. Il risultato è una narrazione che lo stesso giornale giudica “incredibilmente disturbante” e “scioccante”. Il documentario, infatti, non si limita a raccontare gli eventi del 18 giugno, ma ripercorre l’intero percorso che ha portato alla tragedia del Titan. Un arco di quasi dieci anni fatto di decisioni rischiose, ambizioni smisurate e un inquietante disprezzo per le norme di sicurezza.
L’illusione del carbonio
Nel 2009 Rush, un imprenditore con una famiglia ricca e una laurea in ingegneria alle spalle, fonda OceanGate. Vuole aprire al turismo i viaggi in acque profonde, impresa finora mai riuscita a nessuno. Al centro della tragedia c’è l’iniziale scelta tecnica: l’uso della fibra di carbonio per costruire lo scafo del Titan. Un materiale leggero e resistente, impiegato in settori come l’automobilismo e lo sport, ma mai testato in modo affidabile per immersioni estreme. Come spiegato nel film, la fibra di carbonio ha però un problema: perde progressivamente integrità con l’uso. Un fatto ignorato da Stockton Rush, che – secondo ex dipendenti e tecnici intervistati – respingeva ogni critica interna, licenziando persino chi sollevava dubbi sulla sicurezza.
La cultura del rischio e la retorica del genio
Rush si ispirava apertamente a figure come Elon Musk e Jeff Bezos. Voleva rompere gli schemi, innovare, “fare cose strane”, come dice in un audio incluso nel film. In nome dell’ambizione, eluse le certificazioni indipendenti, millantò collaborazioni con NASA, Boeing e Università di Washington – tutte smentite – e ignorò gli avvertimenti ricevuti già nel 2012 da ingegneri aerospaziali che definivano “probabile” un guasto catastrofico sotto i 4.000 metri. Il Titan non superò mai test standard di sicurezza, eppure completò ben 13 immersioni a profondità Titanic tra il 2021 e il 2022. Una “fortuna tecnica” che, secondo Monroe, rende ancora più incredibile che l’incidente non sia avvenuto prima.
I limiti dell’innovazione senza regole
Il documentario offre uno spaccato inquietante su una start-up spinta da sogni pionieristici, ma priva dei necessari controlli. OceanGate aveva attratto scienziati e ingegneri con l’idea di rivoluzionare l’esplorazione oceanica. Ma le regole del mercato e quelle della fisica non coincidono. La tragedia del Titan, divenuta simbolo di hubris tecnologica, apre una riflessione ampia sulla responsabilità nell’innovazione, sulla necessità di trasparenza e sulle conseguenze del culto della personalità, soprattutto quando la posta in gioco è la vita umana.
Se la scienza chiude gli occhi: il caso Titan
Il documentario evita ricostruzioni spettacolari e preferisce mostrare il dietro le quinte della tragedia: decisioni sottovalutate, allarmi ignorati, voci silenziate. Il rumore dell’implosione, registrato da un dispositivo NOAA a 900 miglia di distanza e captato dalla nave madre Polar Prince prima dell’ultimo messaggio del Titan, diventa il simbolo di un disastro annunciato. E mentre il mondo attende ancora il rapporto ufficiale della Guardia Costiera statunitense, il documentario di Netflix lascia una domanda aperta. Al termine della visione, infatti, è impossibile non domandarsi quante tragedie ancora saranno necessarie prima che le regole della scienza tornino a contare più di quelle del marketing e dei ricavi.
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