Meno abbandoni ma forti disparità tra Nord e Sud. L’inglese va meglio, italiano e matematica preoccupano. Il bilancio del vecchio anno pesa sulla ripresa
I test Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) sono prove standardizzate che valutano periodicamente i livelli di apprendimento degli studenti italiani in alcune competenze fondamentali, misurando tre aree principali: italiano, matematica e inglese. I test vengono somministrati agli studenti di seconda e quinta elementare, terza media e seconda e quinta superiore. Generalmente si svolgono tra aprile e maggio, e i risultati vengono poi presentati alla fine dell’anno scolastico alla Camera del Deputati. L’obiettivo principale è monitorare la qualità del sistema educativo italiano, fornendo alle scuole dati utili per l’autovalutazione e identificando – al contempo – le aree di miglioramento nel sistema formativo nazionale. Le prove Invalsi non sono semplici test di memoria; richiedono invece agli studenti la capacità di ragionare per utilizzare al meglio quanto hanno imparato, non semplicemente perché previsto dalla normativa, ma soprattutto perché la capacità di ragionare è fondamentale per tutta la vita.
Quest’anno, le prove hanno coinvolto circa 11.500 scuole per un totale di circa 960.000 alunne e alunni della scuola primaria (classe II e V), circa 550.000 allieve e allievi della scuola secondaria di primo grado (classe III) e oltre 1 milione di studenti e studentesse della scuola secondaria di secondo grado.
Dai dati emerge che sempre meno giovani lasciano la scuola anzitempo, e un numero crescente di studenti riesce a conseguire un diploma o a proseguire in percorsi di istruzione e formazione, con ricadute positive sull’equità sociale, sull’occupabilità e sulla coesione territoriale.
«Non soltanto abbiamo raggiunto l’obiettivo europeo per il 2026, ma abbiamo superato quello previsto del 2030», ha annunciato il ministro Giuseppe Valditara durante la presentazione del Rapporto 2025, alla presenza del presidente Invalsi, Roberto Ricci. La percentuale di 18-24enni senza diploma e fuori da percorsi formativi (il cosiddetto indicatore Elet) è passata dal 12,7% del 2021 all’attuale 8,3%. Ancora più incoraggiante, sulla base di questo dato, è la prospettiva di raggiungere il target europeo del 9% di abbandono scolastico precoce già dal prossimo anno, e dunque prima del traguardo fissato dall’Europa per il 2030.
Ma dietro ai numeri positivi con cui si è chiuso l’anno si nasconde un’Italia dei banchi non scevra da contraddizioni. Da un lato, la buona notizia del numero crescente degli allievi, dall’altro, però, i test rivelano un sistema diviso per macroaree, che fatica a garantire competenze di base uniformi sul territorio nazionale, con un persistente divario Nord-Sud.
Alla fine delle scuole medie, in italiano, a fronte di un 62% di allievi che mostrano competenze almeno adeguate nel Centro-Nord, nel Centro-Sud la percentuale scende in modo rilevante e nel Mezzogiorno (in particolare Calabria, Sicilia e Sardegna) meno della metà di coloro che acquisiscono la licenza media accede alle superiori con competenze adeguate.
Anche in matematica il quadro non si presenta roseo: nelle regioni meridionali solo quattro studenti su 10 terminano le medie con competenze adeguate, con picchi del 70% di insufficienti in Sardegna. «La matematica rappresenta una vera e propria sfida. Sembra intravedersi una questione specifica sull’insegnamento e l’apprendimento della matematica, ossia la necessità di allargare in modo generalizzato la quota di allievi e allieve che ottengono buoni risultati», fa notare il presidente di Invalsi, Roberto Ricci.
Va meglio con l’inglese. In terza media, per la prima volta dal 2018, almeno la metà degli studenti e delle studentesse raggiunge il livello A2 in lettura e ascolto in tutto il territorio nazionale. In particolare, gli alunni di origine immigrata ottengono risultati migliori dei loro compagni nati in Italia, soprattutto nella comprensione orale. Inoltre, le competenze digitali mostrano una generazione più preparata nell’uso consapevole delle tecnologie.
Commentando i dati, il ministro Valditara ha sottolineato la necessità di un profondo ripensamento nell’insegnamento dell’italiano, evidenziando come sia necessario rivedere non solo i metodi di insegnamento, ma anche i programmi scolastici. «Occorre ripensare il metodo di insegnamento dell’italiano e dei programmi in generale», ha dichiarato, sottolineando la centralità di elementi come grammatica, sintassi e riassunti. Il Ministro ha anche ribadito che la comprensione del testo deve tornare al centro dell’attenzione, poiché rappresenta una delle principali sfide per il sistema scolastico italiano.
La scuola italiana che, nell’anno appena trascorso, sembra aver vinto la battaglia contro gli abbandoni, ora si trova ad affrontare il problema di formare un’istruzione equa per tutti ma che sia anche di qualità per costruire i futuri cittadini di domani.
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