Se pensate che lo spazio riguardi solo razzi e astronauti, vi state sbagliando di grosso. Ogni volta che ordiniamo una pizza a domicilio, usiamo il Gps per trovare una strada più veloce, preleviamo da un bancomat o controlliamo le previsioni meteo, stiamo usando tecnologie spaziali.
Lo spazio non è più solo fantascienza ed esplorazione, e anche se non ce ne accorgiamo, sta cambiando la nostra vita quotidiana. Aree remote del pianeta possono connettersi con velocità e affidabilità mai viste, grazie ai satelliti oggi è possibile monitorare il clima, rilevare disastri naturali, costruire modelli predittivi sulla deforestazione o mappe per riconoscere zone a rischio frane.
Dietro a questa rivoluzione silenziosa, però, si nasconde un altro aspetto meno evidente ma sempre più preoccupante, la cosiddetta space junk, la spazzatura spaziale, che sta creando un problema ambientale senza precedenti.
Ogni giorno, quattro o cinque satelliti rientrano nell’atmosfera – fenomeno conosciuto come deorbiting – disintegrandosi e rilasciando polveri metalliche che potrebbero alterare il clima e danneggiare lo strato di ozono.
Per questo motivo, alcuni esperti chiedono di aggiornare il Protocollo di Montreal, includendo anche l’impatto ambientale dei satelliti tra le minacce per l’ozono.
Ma l’inquinamento orbitale non riguarda solo l’atmosfera. Si stima che attorno alla Terra fluttuino oltre 3.000 satelliti non funzionanti e milioni di frammenti di detriti spaziali, derivanti da collisioni e malfunzionamenti. Ogni collisione tra questi oggetti genera nuovi frammenti, innescando un effetto domino pericoloso per le future missioni spaziali.
Oltre al rischio per i satelliti e per le missioni con equipaggio, i detriti spaziali stanno diventando una minaccia anche per l’aviazione civile.
In alcune zone del mondo, come nei cieli tra Australia e Sudafrica, gli aerei sono costretti a fare lo slalom per non scontrarsi contro i detriti spaziali e alcune compagnie aeree, come Qantas, modificano regolarmente le rotte, ritardando i voli, per evitare i detriti dei razzi.
E la situazione rischia di peggiorare: tra il 2021 e il 2024, il numero di lanci spaziali è quadruplicato, passando da 33 a 134 all’anno. Con la crescente corsa allo spazio, soprattutto da parte di aziende private come SpaceX, Amazon e Blue Origin, il traffico orbitale sta diventando sempre più congestionato.
Per affrontare il problema, l’Agenzia Spaziale Europea ha commissionato alla startup svizzera ClearSpace la prima missione di pulizia orbitale. L’obiettivo è inviare in orbita dispositivi in grado di catturare e rimuovere i detriti più grandi che possono creare maggiori problemi, insomma una sorta di spazzino orbitale. Anche la Nasa e altre aziende private stanno sviluppando tecnologie per il recupero e il riciclo dei materiali spaziali, tentando di trasformare il problema in una possibile opportunità economica.
Tuttavia, la soluzione non può essere solo tecnologica: servono nuove regole per la gestione sostenibile dello spazio.
Alcuni scienziati propongono di rendere obbligatorio il recupero dei satelliti al termine della loro vita, mentre altri suggeriscono l’uso di materiali biodegradabili per ridurre l’impatto ambientale dei rientri atmosferici. C’è addirittura chi propone di conservare la spazzatura spaziale come testimonianza delle nostre esplorazioni, come l’antropologo Justin Holcomb. Così come gli artefatti raccontano la storia umana sulla Terra, i detriti spaziali, dai satelliti alle sonde, tracciano i nostri primi passi nel cosmo. Una scienza chiamata geoarcheologia che può aiutarci a capire come l’ambiente altera i manufatti umani.
Insomma, lo spazio è diventato un’infrastruttura essenziale per la vita moderna, ma il suo utilizzo deve essere responsabile. Se non affrontiamo il problema dei rifiuti spaziali oggi, rischiamo di compromettere il futuro dell’esplorazione e delle tecnologie che ormai diamo per scontate, e la nostra sicurezza. La spazzatura spaziale non è solo un problema per gli astronauti: riguarda tutti noi.
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