Tutti i dispositivi venduti in Europa, come tablet e smartphone, ora dovranno riportare una nuova etichetta di sostenibilità. Un sistema chiaro e visibile che misura efficienza energetica, durata della batteria, resistenza e possibilità di riparazione.
Smartphone e tablet: più trasparenza, meno sprechi
Una piccola rivoluzione attende chi sta per cambiare cellulare. Dopo la firma del 20 giugno (e la ratifica del 23) in tutta l’Unione Europea, ogni nuovo smartphone o tablet avrà sulla confezione una nuova etichetta di sostenibilità, simile a quella già nota per gli elettrodomestici. Una svolta voluta da Bruxelles per aiutare i consumatori a scegliere con maggiore consapevolezza e responsabilizzare le aziende verso prodotti più duraturi e facilmente riparabili.
Dietro la misura ci sono due regolamenti europei (2023/1669 e 2023/1670), nati nell’ambito del Green Deal europeo: una strategia ampia, che guarda a un’economia più circolare e mira a ridurre l’impatto ambientale dei prodotti tecnologici. L’idea di fondo è semplice. Dare a chi compra strumenti chiari per valutare quanto un dispositivo sia davvero sostenibile.
Etichetta chiara, acquisto consapevole
Colorata e di facile lettura, l’etichetta indicherà in modo immediato la classe di efficienza energetica (da A a G), ma anche la durata della batteria in condizioni d’uso intenso e la sua longevità, misurata in cicli completi di ricarica.
Il minimo garantito è 800 cicli prima che la capacità scenda sotto l’80%. Un codice QR, presente su ogni etichetta, rimanderà a una banca dati pubblica con tutte le specifiche tecniche.
Ma la vera novità è l’introduzione di un indice di riparabilità, espresso in lettere da A a E. Valuta quanto è facile smontare e riparare il dispositivo, la disponibilità e il costo dei pezzi di ricambio, la presenza di manuali tecnici e gli aggiornamenti software garantiti per almeno cinque anni. A questo si aggiungono anche il grado di protezione da polvere e acqua e la resistenza alle cadute, testata da un metro d’altezza.
Dalla parte dei consumatori
Il messaggio che arriva da Bruxelles è forte: basta con il modello “compri, rompi, butti”.
L’etichetta è solo uno degli strumenti messi in campo per dare concretezza al “diritto alla riparazione”, un principio che punta a rendere le riparazioni più semplici, accessibili e convenienti.
Anche perché i numeri sono piuttosto espliciti: nel 2022 sono state prodotte 62 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici nel mondo, una cifra destinata a salire. Solo in Europa, ci sono 642 milioni di smartphone inutilizzati. E oltre 200 milioni potrebbero essere rimessi in circolazione.
Allungare anche solo di un anno la vita media di un dispositivo significa ridurre emissioni di CO₂, consumo di risorse e costi per le famiglie. Una scelta concreta per il pianeta (e per il portafogli).
Per i produttori è tempo di cambiare passo
Non sarà più sufficiente puntare su fotocamere spettacolari o processori potentissimi. D’ora in avanti, saranno premiati i dispositivi che durano di più, che si riparano con facilità, che resistono all’usura del tempo. I produttori dovranno garantire la disponibilità dei ricambi per almeno sette anni dalla fine della commercializzazione e mettere a disposizione software e firmware anche ai riparatori indipendenti.
Una trasformazione che rappresenta una un’opportunità – enorme – per innovare davvero. Le aziende più lungimiranti investiranno in design modulare, batterie più longeve e materiali resistenti. La sostenibilità smette di essere un’etichetta di marketing e diventa parte integrante del prodotto.
Una piccola etichetta per un grande cambiamento
In fondo, questa etichetta è molto più di un bollino colorato. È uno strumento di trasparenza, una leva per cambiare le abitudini di consumo e una spinta concreta verso una tecnologia più giusta e responsabile. Il successo della misura, però, dipenderà anche dai consumatori, da quanto saranno capaci di leggere quei numeri, capirne il significato e usarli per scegliere meglio.
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