Dopo 35 anni, l’assassino della ventenne romana non ha ancora un volto ma la giustizia non smette di indagare
Il 7 agosto di una torrida estate di trentacinque anni fa il corpo di Simonetta Cesaroni venne trovata senza vita nell’ufficio dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù (AIAG) in Via Poma, quartiere dell’alta borghesia romana. Ventinove coltellate brutali inferte con un tagliacarte, un’aggressione feroce senza un colpevole e continui colpi di scena, ne hanno fatto il ‘cold case’ italiano per eccellenza. Chi ha ucciso Simonetta? E perché? E come è possibile che, nonostante le indagini, le piste e i sospetti, nessuno sia mai stato condannato? Domande ancora senza risposta. La sua storia è diventata il simbolo di una giustizia che arranca, di verità sepolte sotto strati di omissioni e ipotesi mai verificate. Tra testimonianze contraddittorie, possibili depistaggi e un’ossessione mediatica che ancora oggi riporta il caso alla luce, il mistero resiste.
Il caso non è chiuso
L’ultima svolta è arrivata con la decisione del gip di Roma, Giulia Arcieri, che lo scorso dicembre ha respinto la richiesta di archiviazione della nuova indagine aperta nel 2022 su esposto della famiglia. La giudice, infatti, ha chiesto ai pm di fare luce sull’intervento di “poteri forti” nelle vecchie indagini, ipotizzando che l’appartamento dell’omicidio custodisse documenti riservati dei servizi segreti. Saranno riascoltati 29 testimoni, invitati a colmare i vuoti che hanno caratterizzato le precedenti indagini. Tra le richieste, anche quella di nuovi prelievi di DNA su persone mai considerate prima, sfruttando i progressi della genetica forense.
La scoperta del delitto
Quel martedì pomeriggio, Simonetta si recò in ufficio per un lavoro straordinario prima delle vacanze. Quando non rientrò a casa, la sorella Paola e il fidanzato rintracciarono telefonicamente il suo datore di lavoro, Salvatore Volponi, e insieme giunsero in Via Poma. Un indirizzo del quale peraltro nessuno della famiglia Cesaroni era a conoscenza. La scena che si presentò davanti agli occhi fu agghiacciante: Simonetta giaceva riversa a terra, in un lago di sangue. Nessun segno di effrazione sulla porta d’ingresso, un dettaglio che da subito fece ipotizzare che la ragazza avesse aperto al suo assassino, o che questi avesse le chiavi. O magari fosse già nell’appartamento quando lei era entrata.
Un labirinto inquietante
Le indagini si concentrarono subito sull’ambiente circostante, ma il palazzo di Via Poma, un labirinto di uffici e abitazioni private, sembrava non aver visto né sentito nulla di anomalo. Un silenzio assordante avvolse da subito il luogo del delitto, rendendo le prime fasi investigative estremamente complesse e frammentarie. Ogni testimonianza appariva vaga, ogni alibi difficile da verificare con certezza. Questo vuoto informativo creò un terreno fertile per sospetti e teorie che avrebbero complicato irrimediabilmente il percorso della giustizia per trovare il colpevole dell’omicidio.
Il primo sospettato: Pietro Vanacore
Nel corso degli anni, l’inchiesta ha visto sfilare diversi nomi che sono state al centro dell’attenzione mediatica e giudiziaria e poi ne sono usciti. Uno dei primi fu Pietro Vanacore, all’epoca portiere dello stabile. Il suo comportamento (come peraltro quello di sua moglie la notte del rinvenimento) apparve fin da subito ambiguo agli inquirenti, come le sue dichiarazioni mutevoli e a volte contraddittorie. A lungo Vanacore fu il principale sospettato, ma le prove a suo carico non si rivelarono mai sufficienti a sostenerne la colpevolezza e finì prosciolto. Dopo la sua morte misteriosa per annegamento, archiviata come suicidio, la sua figura è rimasta impressa nell’immaginario collettivo come uno dei volti più enigmatici di questa tragedia.
L’ex fidanzato a processo
Un altro nome cruciale è quello di Raniero Busco, il fidanzato della vittima. Le indagini successive, che si avvalsero di nuove tecniche scientifiche anni dopo il delitto, cercarono di collegarlo alla scena del crimine attraverso tracce biologiche. Busco fu processato e condannato in primo grado, ma successivamente assolto in appello e poi in Cassazione. La giustizia lo ha dichiarato innocente, ma il suo nome è rimasto per anni indissolubilmente legato alla vicenda, alimentando il dibattito pubblico e dividendo l’opinione tra chi lo riteneva il responsabile e chi un capro espiatorio. La sua assoluzione ha lasciato il caso senza un colpevole ufficiale
L’avvocato dei misteri
In un caso così complesso e pieno di anomalie, come quello di Simonetta Cesaroni, ogni figura con un legame con la vittima o con il luogo del delitto deve essere oggetto di analisi e speculazioni. Anche per questo la gip Arcieri ha chiesto nuove verifiche sulla controversa figura dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sangro, oggi scomparso e allora presidente degli Alberghi della Gioventù e quindi diretto superiore di Simonetta. Sebbene non sia mai stato formalmente imputato o coinvolto in maniera significativa nelle fasi processuali principali, il suo ruolo e la sua presenza nel contesto degli uffici di Via Poma hanno alimentato per anni diverse teorie.
Depistaggi e silenzi
Il caso di Via Poma è diventato un vero e proprio manuale sui cold case, caratterizzato da presunti depistaggi, testimonianze lacunose o contraddittorie e piste che si sono rivelate dei vicoli ciechi. Si è parlato di una “verità scomoda” che non si è mai voluta far emergere, o di un inquinamento delle prove fin dalle prime ore dopo il ritrovamento del corpo. L’assenza di segni di effrazione e il fatto che l’ufficio fosse chiuso a chiave dall’interno hanno sempre rappresentato un enigma insuperabile, suggerendo un assassino conosciuto dalla vittima o con accesso privilegiato all’edificio.
Alla ricerca della verità sull’omicidio di Simonetta Cesaroni
Nonostante le sentenze di assoluzione e le continue archiviazioni, la famiglia di Simonetta Cesaroni non ha mai smesso di lottare per la verità. L’omicidio di via Poma rimane una ferita aperta nella cronaca giudiziaria italiana, e la decisione della giudice romana di respingere l’archiviazione, riaccende una piccola, ma significativa, speranza che, un giorno, anche dopo tanto tempo, un nuovo elemento o una nuova intuizione possano finalmente squarciare il velo su uno dei misteri più inquietanti del Paese.
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