“Cronista de Il Mattino ucciso in un agguato”. È il 24 settembre del 1985, questo che avete appena letto è il titolo di apertura del quotidiano più importante di Napoli, Il Mattino, fondato novant’anni prima da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Le rotative di via Chiatamone, allora sede della redazione, stampano una notizia che scuote la città e l’opinione pubblica in generale: Giancarlo Siani, collaboratore del giornale da Torre Annunziata, è stato assassinato la sera prima, sotto casa, nel quartiere Arenella. Il corpo senza vita viene ritrovato all’interno della sua Citroën Méhari verde, diventata poi un simbolo della lotta alla criminalità organizzata. Giancarlo che – come ricorda il fratello Paolo in una bella intervista che pubblichiamo in questo numero, firmata da Leonardo Guzzo – “voleva fare il giornalista più di tutto”, ha pagato la colpa di aver raccontato fatti che, allora come oggi, dovevano rimanere sommersi, invisibili. La sua condanna a morte Giancarlo la firma pubblicando tre mesi prima un pezzo scomodo: il 10 giugno di quell’anno esce la notizia che l’arresto del boss Valentino Gionta è stato possibile grazie a una soffiata degli storici alleati Nuvoletta, che tradirono Gionta in cambio di una tregua con i nemici casalesi. Questi nomi appartenevano a clan rivali: erano gli Anni ’80, la camorra stava combattendo una guerra senza quartiere per il controllo del territorio e tante furono le vittime, anche innocenti. Giancarlo uno di questi.
Gaza, giorni nostri. Morto il giornalista Adam Abu Harbid. Sono 232 i giornalisti uccisi dall’inizio dell’offensiva israeliana. È il 25 luglio del 2025, e questo è il titolo di tg e giornali di tutto il mondo: un altro, ennesimo giornalista ucciso mentre, dalla Striscia, raccontava una guerra che si combatte da troppo tempo. La minaccia alla vita dei giornalisti non è un retaggio del passato. Ancora oggi, in molte parti del mondo, informare significa sfidare poteri forti, regimi autoritari o organizzazioni criminali, significa ‘banalmente’ trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato (e non solo in senso figurato). Potrei citare tanti nomi, di donne e uomini che hanno pagato con la vita il loro servizio all’informazione: uno su tutti quello di Anna Politkovskaja, il cui assassinio – nell’ottobre del 2006 – ha provocato una mobilitazione internazionale senza precedenti. L’obiettivo di queste righe però non è quello di diventare un necrologio. L’obiettivo di queste righe è quello di provare a svegliare le coscienze di chi ancora non ha compreso appieno il valore dell’informazione, di lanciare un appello alla responsabilità di chi può intervenire. Queste righe – che forse indegnamente rendono quel lustro che certi nomi meritano – vogliono essere anche e soprattutto un invito alla consapevolezza: se non esistesse l’informazione (quella fatta bene!) saremmo tutti individui senza senso critico, la nostra conoscenza del mondo non andrebbe oltre il nostro naso e potremmo addirittura finire col credere tutto quello che ascoltiamo. Ogni vita spezzata, ogni penna messa a tacere, è una ferita alla democrazia e al diritto dei cittadini di essere informati.
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