Ricercatori italiani riportano alla luce un santuario di 4500 anni fa dimenticato sotto le sabbie del deserto
Gli studiosi dell’Università di Torino, affiancati dai colleghi dell’Orientale di Napoli, hanno riportato alla luce un tempio risalente a oltre quattro millenni fa nel sito di Abu Ghurab, a pochi chilometri dal Cairo. Si tratta di un ritrovamento che promette di riscrivere alcuni capitoli della storia architettonica egizia. Il santuario apparteneva al complesso cultuale del faraone Nyuserra, sovrano della V dinastia che regnò nella metà del terzo millennio avanti Cristo. Per comprendere l’importanza di questa scoperta nell’antico Egitto occorre fare un passo indietro e spiegare cosa rappresentasse questo tipo di edificio nella civiltà delle piramidi.
Un star gate tra gli uomini e gli dèi
Nell’antico Egitto i luoghi di culto seguivano una precisa gerarchia spaziale. Il tempio portato alla luce costituiva la porta d’ingresso dell’intero complesso religioso, il punto dove il mondo degli uomini incontrava quello degli dèi. Questi edifici sorgevano in prossimità del fiume, vero asse vitale del paese, e da lì partiva un percorso ascendente che conduceva al santuario principale, collocato più in alto nel deserto. Il movimento dalla riva verso l’altura simboleggiava l’ascesa dalla dimensione terrena verso quella luminosa della divinità solare. Qui attraccavano le imbarcazioni che trasportavano sacerdoti, offerte alimentari e tutto quanto servisse al funzionamento quotidiano del culto.
Il più antico tempio di Ra
Il tempio rappresentava dunque il punto di snodo tra il fiume che dava vita alla valle e i luoghi elevati dove risiedeva il sacro. Il complesso solare di Nyuserra vanta un primato significativo: costituisce il più antico esempio conosciuto di edificio di culto esplicitamente dedicato a Ra, il dio Sole che occupava una posizione centrale nella religione egizia. La sua esistenza era nota dalla fine dell’Ottocento, quando l’archeologo tedesco Ludwig Borchardt aveva individuato anche la possibile ubicazione del tempio d’accesso. Tuttavia le acque sotterranee impedirono allora qualsiasi scavo approfondito.
Il cambiamento climatico e l’archeologia
Le condizioni sono cambiate radicalmente nel corso dell’ultimo secolo. Lo spostamento del Nilo verso est, la costruzione della diga di Assuan e le trasformazioni climatiche hanno progressivamente abbassato il livello della falda. Quello che un tempo rappresentava un ostacolo insormontabile è diventato un’opportunità per la ricerca. Le campagne di scavo del 2024 e 2025 hanno così permesso di esplorare quest’area rimasta inaccessibile per oltre un secolo. Le strutture riportate alla luce testimoniano un edificio dalle dimensioni monumentali. L’area indagata supera già i mille metri quadrati e rappresenta circa la metà dell’intero santuario. L’altezza originaria doveva oltrepassare i cinque metri e mezzo, mentre la decorazione architettonica rivela l’impiego di materiali pregiati: granito rosa, calcare bianco finissimo e quarzite rossa impreziosivano le pareti.
Tornati alla luce secoli di storia egizia
Numerosi blocchi conservano iscrizioni geroglifiche che menzionano il nome del faraone Nyuserra e fanno riferimento a festività religiose. Probabilmente facevano parte di un calendario rituale esposto all’esterno dell’edificio, strumento che permetteva di regolare nel tempo le cerimonie. Questo dettaglio chiarisce come il culto fosse organizzato con precisione e come il sovrano fosse il protagonista simbolico del rapporto tra comunità umana e sfera divina. La storia del luogo non si conclude con la fine dell’Antico Regno. Dopo circa un secolo di attività cultuale, l’edificio venne abbandonato. Decenni più tardi le comunità locali rioccuparono l’area, trasformandola in un insediamento abitativo che rimase attivo per oltre trecento anni. Questa seconda vita del complesso offre dati preziosi sulla quotidianità delle popolazioni della regione menfita durante la Prima Età Intermedia, periodo di forte instabilità politica che seguì il crollo del potere centrale.


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