Il settore sanitario produce il 4,4% delle emissioni mondiali di gas serra. L’organizzazione internazionale rivolge l’attenzione su ospedali, farmaci e dispositivi medici: la decarbonizzazione può migliorare la qualità e l’accessibilità delle cure.
Inquinamento sanitario
La sanità inquina più di quanto si pensi. Il settore sanitario globale è responsabile del 4,4% delle emissioni totali di gas serra nel mondo, una quota che equivale all’impronta di carbonio di nazioni intere.
A lanciare l’allarme è l’Ocse con il nuovo rapporto “Decarbonising Health Systems Across OECD Countries“, uno studio che per la prima volta fotografa in modo sistematico l’impatto ambientale dei sistemi sanitari nei Paesi sviluppati. Le strutture ospedaliere, insieme alla produzione e alla distribuzione di farmaci e dispositivi medici, rappresentano le principali fonti di inquinamento. Ma c’è una via d’uscita: ridurre le emissioni attraverso acquisti verdi e prodotti clinici a basso impatto ambientale non solo gioverebbe al pianeta, ma migliorerebbe anche la qualità e l’accessibilità delle cure per i pazienti.
Ospedali e farmaci al centro del problema
Il rapporto Ocse mette nero su bianco numeri che non possono più essere ignorati. Gli ospedali, ad esempio, sono veri e propri “divoratori di energia”. Il loro funzionamento continuo, gli impianti di climatizzazione, le sale operatorie sempre attive e le tecnologie diagnostiche ad alto consumo energetico pesano enormemente sul bilancio ambientale. Ma non è solo una questione di strutture.
La filiera farmaceutica contribuisce in modo significativo alle emissioni: dalla sintesi chimica dei principi attivi alla produzione degli imballaggi, dal trasporto alla distribuzione capillare, ogni fase del ciclo di vita di un farmaco lascia un’impronta di carbonio considerevole. I dispositivi medici monouso, sempre più diffusi per ragioni di sicurezza sanitaria, aggravano ulteriormente la situazione generando montagne di rifiuti speciali difficili da smaltire.
L’Organizzazione internazionale sottolinea come il paradosso sia evidente: il settore nato per proteggere la salute umana sta contribuendo al cambiamento climatico, che a sua volta causa problemi sanitari sempre più gravi. L’aumento delle temperature globali favorisce la diffusione di malattie infettive, peggiora le patologie respiratorie e cardiovascolari, aumenta i ricoveri per colpi di calore. Un circolo vizioso che rende urgente un’inversione di rotta.
La strada degli acquisti verdi
Per spezzare questa spirale negativa, l’Ocse indica una direzione precisa: i governi e le amministrazioni sanitarie devono puntare sugli acquisti verdi.
Si tratta di privilegiare, nelle gare d’appalto e nelle forniture, prodotti e servizi che garantiscano performance ambientali migliori senza compromettere efficacia e sicurezza. Questo significa scegliere farmaci con processi produttivi meno inquinanti, dispositivi medici riutilizzabili quando possibile, attrezzature ospedaliere ad alta efficienza energetica. L’approccio degli acquisti verdi non si limita al singolo prodotto ma considera l’intero ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento finale.
Secondo l’analisi dell’Ocse, questa strategia porterebbe vantaggi multipli. Dal punto di vista ambientale ridurrebbe drasticamente le emissioni e gli sprechi. Ma ci sarebbero ricadute positive anche sulla qualità delle cure: prodotti più sostenibili sono spesso anche più sicuri e innovativi.
E poi c’è il discorso sull’accessibilità. Ottimizzare i consumi e ridurre gli sprechi significa liberare risorse economiche che possono essere reinvestite nei servizi ai cittadini. In sostanza, curare meglio il pianeta significa anche curare meglio le persone.
Da dove arrivano gli sprechi maggiori
Il documento identifica alcune aree critiche dove gli sprechi sono particolarmente evidenti.
Gli antibiotici, ad esempio, rappresentano un caso emblematico. Oltre a contribuire all’emergenza globale della resistenza antimicrobica, la loro sovrapproduzione e il cattivo smaltimento inquinano falde acquifere e suoli. Gli anestetici gassosi utilizzati nelle sale operatorie hanno un potenziale di riscaldamento globale migliaia di volte superiore alla CO2, eppure esistono alternative meno impattanti che vengono ancora poco adottate. I dispositivi medici monouso, come già accennato, generano enormi quantità di rifiuti plastici che finiscono in discarica o negli inceneritori.
Ma c’è anche il problema degli sprechi organizzativi. Esami diagnostici prescritti inutilmente, ricoveri che potrebbero essere evitati con una migliore assistenza territoriale, farmaci che scadono nei magazzini ospedalieri: tutti elementi che pesano sia sul bilancio economico che su quello ambientale. L’Ocse invita i Paesi membri a fare un’analisi seria dei propri sistemi sanitari per individuare dove tagliare inefficienze e sprechi senza intaccare la qualità dell’assistenza.
Qualità e sostenibilità possono convivere
L’aspetto più interessante del rapporto è forse questo: smontare la falsa contrapposizione tra sostenibilità ambientale e qualità delle cure. Troppo spesso si è pensato che rendere la sanità più verde significasse rinunciare a prestazioni, tecnologie, sicurezza. L’Ocse dimostra il contrario. Un ospedale efficiente dal punto di vista energetico è anche un ospedale più moderno e confortevole per pazienti e operatori. Una catena di approvvigionamento ottimizzata riduce i rischi di carenze di farmaci e dispositivi. Una gestione oculata delle risorse permette di investire di più in prevenzione, che è insieme la forma di cura più efficace e quella con il minor impatto ambientale.
Alcuni Paesi hanno già iniziato a muoversi in questa direzione. Il Servizio Sanitario Nazionale britannico si è impegnato a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2040. In Svezia diversi ospedali hanno installato pannelli solari e sistemi di recupero del calore. La Francia ha introdotto criteri ambientali stringenti negli appalti pubblici per i dispositivi medici. Sono segnali incoraggianti ma ancora insufficienti rispetto alla portata del problema. Per l’Ocse serve un cambio di passo coordinato a livello internazionale.
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