Il tursiope appare davanti a residenti e turisti come un’attrazione, ma rischia la vita. La Guardia Costiera si mobilita, i biologi:”non è un sorriso”
Il Bacino di San Marco ha da qualche tempo un ospite inaspettato. Si chiama Mimmo e nuota tra vaporetti e gondole senza riuscire a tornare verso il mare aperto. Secondo i biologi del Museo di Storia Naturale Giancarlo Ligabue di Venezia, entra ed esce periodicamente dai canali, attratto dal cibo e dal movimento delle imbarcazioni. Tuttavia, ogni volta che si avventura nella laguna, fatica sempre di più a ritrovare la strada verso il mare. Il tursiope, specie protetta appartenente alla famiglia dei Delfinidi e piuttosto diffusa nell’Adriatico, potrebbe essersi allontanato dal gruppo che risiede abitualmente lungo le coste venete. La ricerca di nutrimento e la curiosità tipica di questi mammiferi marini potrebbero averlo spinto verso acque che si sono rivelate molto meno ospitali di quanto sembrassero. Del resto, già nel 2021 due delfini erano stati avvistati nel Canal Grande.
L’inganno del sorriso permanente
Esiste un equivoco profondo attorno a Mimmo: la convinzione che i delfini sorridano sempre, segno inequivocabile della loro felicità. In realtà, come spiega il neuroetologo Giorgio Vallortigara nel saggio “Piccoli equivoci fra noi animali”, quella che interpretiamo come espressione gioiosa è semplicemente la conformazione naturale della bocca. I delfini non possiedono la muscolatura facciale necessaria per modificare l’espressione del muso: il loro volto resta immobile, identico a se stesso sia nei momenti di benessere che in quelli di sofferenza. Questa caratteristica anatomica ha generato nei decenni una percezione distorta di questi animali, visti come creature eternamente felici, desiderose di interagire con gli esseri umani. Quando il Programma di Ricerca sui Delfini di Sarasota venne avviato negli anni Settanta, molti credevano che fossero quasi umani, intelligenti e gentili per natura. Cinquant’anni di studi hanno invece sfatato molti miti.
Il caos acustico che disorienta
Per comprendere quanto la laguna di Venezia sia un ambiente ostile per un delfino, bisogna considerare il modo in cui questi animali percepiscono il mondo. Il loro orientamento si basa sull’ecolocazione, un sistema sofisticato che permette di ricostruire lo spazio circostante attraverso l’emissione di suoni e l’interpretazione degli echi di ritorno. Funziona benissimo in mare aperto, molto meno in un dedalo di canali affollati da imbarcazioni di ogni tipo. I motori dei vaporetti, il ronzio delle motonavi da crociera, lo scafo delle gondole, il frastuono delle eliche: tutto questo genera un inquinamento acustico continuo che interferisce pesantemente con la capacità del tursiope di comunicare e navigare. Uno studio dell’Istituto di Scienze Marine del CNR ha dimostrato come il rumore antropico alteri le vocalizzazioni e i percorsi dei tursiopi, che tendono a rifugiarsi in aree più silenziose o a ridurre drasticamente l’attività comunicativa. Per Mimmo, la laguna è l’equivalente di un labirinto senza uscita, dove ogni tentativo di orientarsi viene sovrastato da un frastuono assordante.
I rischi concreti per la sopravvivenza
Le conseguenze della permanenza prolungata nella laguna veneziana non sono solo teoriche. Il CERT (Cetacean Strandings Emergency Response Team) di Legnaro, che monitora la situazione insieme alla Guardia Costiera, ha evidenziato diversi pericoli concreti: le eliche delle imbarcazioni rappresentano una minaccia diretta, capaci di causare ferite profonde o addirittura letali. Lo stress acustico continuo compromette il benessere psicofisico dell’animale. Il disorientamento progressivo riduce la capacità di alimentarsi correttamente e di ritrovare la rotta verso il mare. La Guardia Costiera ha emanato indicazioni precise: mantenere una distanza minima di cinquanta metri, evitare di offrire cibo, non inseguire il delfino con le barche, non attirarne l’attenzione con urla o rumori. Mentre tour organizzati per l’avvistamento, barche che si avvicinano fin quasi a toccare l’animale, turisti che tentano addirittura di giocarci lanciando palloni. L’occasione di uno scatto da condividere sui social prevale su qualsiasi considerazione per il benessere del cetaceo.
La difficile operazione di salvataggio
Il CERT sta tentando di riportare Mimmo in mare aperto applicando protocolli internazionali di “relocation” per cetacei. L’animale continua a tornare nella laguna, forse attratto dal cibo che qualcuno gli offre dalle imbarcazioni, forse perché ha perso i contatti con il proprio gruppo, forse perché ormai disorientato dalle condizioni abientali. Nel breve periodo, l’obiettivo è guidare il delfino verso acque più adatte e riconnetterlo possibilmente con un branco. Nel medio termine, sarà necessario riflettere su modifiche strutturali: regolamentazione del traffico acqueo, limiti di velocità e rumore nelle aree sensibili, zone protette temporanee, campagne di sensibilizzazione più incisive. Il caso di del delfino Mimmo può diventare un punto di riferimento per le politiche di tutela dei cetacei in ambienti urbani e lagunari italiani. Il monitoraggio continuerà per verificare se l’animale riuscirà effettivamente a reintegrarsi nel suo habitat naturale o se rimarrà stabilmente nella laguna, con tutte le conseguenze che questo comporterebbe.
Oltre il mito romantico
Il Programma di Ricerca sui Delfini di Sarasota, che da mezzo secolo studia questi mammiferi, ha documentato sei generazioni consecutive di questi animali. Le ricerche hanno sfatato molti miti: i delfini non sono creature docili e amichevoli per natura. Possono essere aggressivi, hanno una sessualità complessa, e soprattutto le interazioni con gli esseri umani possono avere conseguenze disastrose. Le stazioni di ascolto hanno registrato migliaia di ore di vocalizzazioni, rivelando un sistema comunicativo estremamente sofisticato ma profondamente diverso dal nostro. Come ha dichiarato Randy Wells, direttore dello Zoo Brookfield di Chicago, le persone tendevano a vedere i delfini come “umani in muta da sub”, ma la realtà è ben diversa. Gli studi hanno dimostrato che le offerte di cibo e la ricerca di contatto aumentano drammaticamente i rischi di ingestione di alimenti inappropriati, di ferite da elica e di impigliamento negli attrezzi da pesca.
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