Le professioni che richiedono un costante orientamento e decisioni rapide farebbero da scudo ai disturbi cognitivi
Un recente studio pubblicato sul British Medical Journal ha evidenziato una correlazione tra alcune professioni che richiedono un costante orientamento spaziale e un minor rischio di mortalità per Alzheimer. In particolare, tassisti e autisti di ambulanze sembrano essere meno colpiti dalla malattia neurodegenerativa rispetto ad altre categorie professionali. Tutto merito dell’ippocampo e della necessità di prendere decisioni rapide adattandosi a situazioni impreviste nel caotico traffico cittadino.
Guidare ogni giorno riduce il rischio di Alzheimer? Le ipotesi dietro lo studio di Harvard
Il team di ricercatori della Harvard Medical School ha analizzato oltre 9 milioni di certificati di morte registrati negli Stati Uniti tra il 2020 e il 2022. Ha così scoperto che tra i 16.658 tassisti deceduti nel periodo considerato, solamente 171 hanno avuto l’Alzheimer come causa di morte. In pratica solo l’1,03% del totale. Gli autisti di ambulanze mostrano percentuali ancora più basse: appena 10 decessi su 1.348, pari allo 0,74%. Questi dati assumono una rilevanza ancora maggiore se confrontati con la media nazionale americana dell’1,69%. Il rischio Alzheimer, nei casi in esame, risulta dunque ridotto del 56% rispetto alla popolazione generale.
Il segreto è un ippocampo allenato
I ricercatori si sono chiesti quale sia il legame tra queste professioni e la riduzione stimata del rischio di Alzheimer. La risposta, sorprendente, risiede nell’orientamento spaziale e nel continuo esercizio mentale che caratterizza il lavoro di tassisti e ambulanzieri. L’ippocampo, la struttura cerebrale fondamentale per la memoria e l’orientamento spaziale, viene infatti costantemente stimolato da chi deve muoversi rapidamente in ambienti urbani complessi. I tassisti londinesi rappresentano l’esempio più emblematico di questo fenomeno. Per ottenere la licenza di guida devono infatti superare un esame che richiede la memorizzazione di oltre 25.000 strade e punti di interesse della città. Studi precedenti hanno già dimostrato che questi professionisti sviluppano un ippocampo significativamente più voluminoso rispetto alla media della popolazione.
Una protezione mirata: non basta guidare ore nel traffico
È però interessante notare che la riduzione del rischio di Alzheimer non si manifesta in tutte le professioni legate alla guida. Autisti di autobus, piloti di aerei e marinai non mostrano la stessa protezione dalla malattia neurodegenerativa. Questa specificità suggerisce che il beneficio non deriva semplicemente dal guidare, ma dal tipo particolare di sforzo cognitivo richiesto. L’orientamento spaziale diventa quindi l’elemento chiave per comprendere questo meccanismo di protezione. Tassisti e ambulanzieri devono continuamente prendere decisioni rapide sulla navigazione, adattarsi a percorsi alternativi, memorizzare indirizzi e orientarsi in situazioni di emergenza. Questo allenamento mentale costante potrebbe fungere da “palestra” per l’ippocampo, mantenendolo attivo e resistente ai processi degenerativi.
Rischio Alzheimer e lavoro alla guida: lo studio promette bene, ma restano i dubbi
Nonostante l’entusiasmo suscitato da questi risultati nella diminuzione del rischio Alzheimer, i ricercatori mantengono un approccio prudente. Lo studio, pur basato su un campione di quasi 9 milioni di persone, ha natura osservazionale e non può stabilire definitivamente un rapporto di causa-effetto tra attività lavorativa e protezione dalla malattia. Alcuni esperti hanno poi sollevato questioni metodologiche importanti. L’età media di morte dei tassisti e ambulanzieri si aggira intorno ai 64-67 anni, mentre l’Alzheimer tipicamente si manifesta dopo i 65 anni. Inoltre, la predominanza maschile in queste professioni potrebbe influenzare i risultati, considerando che le donne sviluppano più frequentemente la malattia.
Prevenire il rischio di Alzheimer con l’esercizio mentale: le nuove ipotesi
Tuttavia, la scoperta apre nuovi scenari per la ricerca neuroscientifica nel campo della prevenzione del rischio di Alzheimer. Se, infatti, l’allenamento dell’orientamento spaziale rappresentasse davvero un fattore protettivo, potrebbero svilupparsi nuove strategie preventive basate sull’esercizio cognitivo specifico. Training di navigazione virtuale, esercizi di memorizzazione spaziale e attività che stimolano l’ippocampo potrebbero diventare strumenti terapeutici innovativi. La neuroplasticità del cervello adulto, secondo la scienza, offre possibilità concrete in questa direzione. Programmi di allenamento cognitivo mirati potrebbero, dunque, non solo rallentare il declino cognitivo, ma potenzialmente prevenire l’insorgenza della malattia neurodegenerativa.
Un sfida quotidiana al cervello: così si può ridurre il rischio di Alzheimer
L’idea che attività quotidiane specifiche possano diminuire naturalmente il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative apre nuove possibilità di prevenzione accessibili a tutti. Non si tratta necessariamente di diventare tassisti, ma di comprendere come l’allenamento cognitivo mirato possa rappresentare un’arma efficace contro le patologie del cervello. Il cervello umano, infatti, continua a sorprendere con la sua capacità di adattamento e resilienza. Come dimostra anche questa scoperta, forse, la chiave per mantenere una mente sana potrebbe risiedere nel continuare a sfidarla, orientarla e allenarla ogni giorno, riducendo così naturalmente il rischio di sviluppare disturbi cognitivi.
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