Ricercatori dell’Università texana hanno scoperto un metodo per stimolare la produzione di mitocondri e trasferirli alle cellule danneggiate. Le prime sperimentazioni, per ora solo sui ratti, partiranno nei prossimi mesi.
Una fabbrica di energia cellulare
L’invecchiamento lascia tracce evidenti sul corpo umano. Le rughe solcano il viso, i capelli si diradano, la mente rallenta nei suoi processi. Ma il deterioramento più profondo avviene a un livello invisibile, nel cuore stesso delle nostre cellule. Qui, piccoli organelli chiamati mitocondri producono l’energia necessaria alla vita.
Con il passare degli anni, questi motori microscopici diminuiscono di numero e perdono efficienza. Il risultato? Cellule meno vitali, tessuti che cedono, organi che faticano.
Gli scienziati della Texas A&M University hanno sviluppato un approccio originale per invertire questo declino. Il professor Akhilesh K. Gaharwar e il suo team hanno messo a punto una tecnica che permette di ricaricare le cellule invecchiate o danneggiate. Il metodo si basa sull’utilizzo di particelle microscopiche dalla forma simile a fiori, chiamate appunto “nanofiori”, che stimolano le cellule staminali a produrre il doppio della quantità normale di mitocondri.
La ricerca, pubblicata di recente sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences, rappresenta un passo avanti significativo. I mitocondri sono essenziali per contrastare virus e parassiti, per sintetizzare aminoacidi e ormoni. La loro carenza contribuisce allo sviluppo di numerose patologie legate all’età: dalle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer ai disturbi metabolici come il diabete, passando per le disfunzioni cardiache.
Il meccanismo dei nanofiori
Il processo ideato dai ricercatori texani parte da un’osservazione: le cellule possiedono già una capacità naturale di scambiarsi mitocondri. Si tratta di un meccanismo di soccorso biologico, attraverso il quale cellule sane possono cedere parte delle loro riserve energetiche a cellule in difficoltà. Ma questo trasferimento spontaneo avviene in modo limitato e spesso insufficiente per compensare i danni dell’invecchiamento o delle malattie.
I nanofiori cambiano radicalmente l’equazione. Queste particelle, da 600 a 1000 volte più piccole dello spessore di un capello umano, vengono aggiunte a capsule di laboratorio contenenti cellule staminali. Realizzati con disolfuro di molibdeno, un composto inorganico dalle proprietà particolari, i nanofiori vengono assorbiti dalle cellule staminali attraverso un processo naturale simile all’assunzione di nutrienti.
Una volta all’interno, innescano una reazione straordinaria. Le cellule staminali cominciano a produrre mitocondri a ritmo doppio rispetto al normale. Quando queste cellule potenziate vengono poi poste vicino a cellule invecchiate o danneggiate, trasferiscono i mitocondri in eccesso ai vicini bisognosi. I dati dello studio mostrano che le cellule trattate con i nanofiori cedono da due a quattro volte più mitocondri rispetto a quelle non trattate. Le cellule che ricevono i nuovi mitocondri mostrano un recupero notevole. Riacquistano capacità di produrre energia, resistono meglio alla morte cellulare, riescono a sopportare l’esposizione a sostanze dannose come i farmaci chemioterapici.
Dai topi all’uomo: il percorso della ricerca
La sperimentazione è pronta per il prossimo passo. Tra gennaio e febbraio il metodo verrà testato in laboratorio sui ratti. Serve dimostrare sicurezza ed efficacia prima di poter passare agli studi clinici sull’uomo.
John Soukar, dottorando e primo autore dell’articolo scientifico, ha sottolineato come l’aumento di efficienza abbia superato le aspettative. Il paragone che usa è immediato: invece di buttare via dispositivi elettronici vecchi, si inseriscono batterie nuove e completamente cariche.
Esistono già farmaci capaci di incrementare il numero di mitocondri nelle cellule. Ma presentano limiti importanti. Essendo composti da molecole piccole, vengono eliminati rapidamente dall’organismo. I trattamenti vanno ripetuti con frequenza per mantenere i risultati. I nanofiori, con i loro cento nanometri di diametro, restano invece all’interno delle cellule continuando a stimolare la produzione di mitocondri. Questa caratteristica potrebbe tradursi in terapie che richiedono somministrazioni mensili invece che quotidiane o settimanali.
L’aspetto più promettente riguarda la versatilità del trattamento. In linea di principio, il metodo potrebbe funzionare su diversi tessuti dell’organismo. Per la cardiomiopatia, le cellule staminali potenziate potrebbero essere iniettate direttamente nel cuore. Per la distrofia muscolare, l’iniezione avverrebbe nei muscoli. Per le malattie neurodegenerative, il bersaglio sarebbe il sistema nervoso.
Le cellule staminali hanno una capacità naturale chiamata “homing”: quando rilevano un danno nell’organismo, vi si dirigono spontaneamente per tentare di ripararlo.
Applicazioni concrete e prospettive
Se il nuovo approccio ricevesse l’approvazione clinica, i medici potrebbero prelevare cellule staminali da un paziente, arricchirle con i nanofiori in laboratorio e reintrodurle nell’organismo. Queste cellule ricaricate fornirebbero mitocondri alle aree danneggiate o invecchiate. Gli effetti potrebbero essere molteplici e significativi.
Nel caso dell’Alzheimer e di altre patologie neurodegenerative, l’introduzione di nuovi mitocondri potrebbe aiutare le cellule nervose invecchiate a comunicare meglio tra loro, con possibili benefici sull’attività cerebrale. Per i pazienti diabetici, mitocondri freschi potrebbero permettere alle cellule di processare il glucosio più velocemente, migliorando il controllo metabolico. Nella steatosi epatica, le cellule del fegato potrebbero recuperare la capacità di metabolizzare i grassi in modo più efficiente.
Il laboratorio della Texas A&M sta collaborando con altri tre gruppi di ricerca specializzati rispettivamente in distrofia muscolare, steatosi epatica e disfunzioni del sistema nervoso. Lo studio ha ricevuto finanziamenti dal National Institutes of Health, dalla Welch Foundation, dal Dipartimento della Difesa e dal Cancer Prevention and Research Institute of Texas, oltre al supporto dell’università stessa.
Se si riuscirà a potenziare in modo sicuro questo sistema naturale di condivisione dell’energia, un giorno potrebbe essere possibile rallentare o perfino invertire alcuni effetti dell’invecchiamento cellulare. I ricercatori evidenziano che siamo ancora all’inizio di un percorso lungo, ma la direzione appare chiara, e le prime indicazioni incoraggianti.
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