L’Agenas presenta il report annuale sulle performance ospedaliere italiane. Quindici strutture raggiungono livelli elevati in almeno sei aree cliniche, ma la fotografia del sistema sanitario mostra ancora profonde differenze territoriali.
Un miglioramento costante
Il sistema sanitario italiano continua a migliorare, anche se non ovunque allo stesso modo. È questa la sintesi che emerge dalla presentazione del Programma Nazionale Esiti (Pne) 2025, l’analisi annuale realizzata dall’Agenas che valuta qualità e risultati delle strutture ospedaliere sul territorio nazionale. Il ministero della Salute ha ospitato l’evento in cui sono stati illustrati i dati raccolti attraverso le cartelle cliniche di 1.117 ospedali, tra pubblici e privati.
Lo strumento utilizzato dall’Agenzia incrocia le informazioni delle dimissioni ospedaliere con i registri anagrafici e i flussi del pronto soccorso per ottenere un quadro completo. Non si tratta di una classifica, precisano i tecnici, ma di uno strumento di valutazione che permette alle singole strutture di capire dove intervenire e come orientare le proprie scelte organizzative.
Eccellenze concentrate al Centro-Nord
Quest’anno sono 15 gli ospedali che hanno raggiunto valutazioni alte o molto alte in almeno sei delle otto aree cliniche monitorate. Dieci di questi si trovano al Centro-Nord, mentre al Sud l’unica realtà che riesce a mantenere questi standard è l’Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli. La lista comprende strutture lombarde come il Bolognini, il Maggiore di Lodi, la Fondazione Poliambulanza, il Papa Giovanni XXIII e l’Istituto Clinico Humanitas. Dal Veneto figurano gli ospedali di Montebelluna, Cittadella e Mestre, mentre dall’Emilia-Romagna arrivano Bentivoglio e Fidenza.
Completano il quadro il Pof Lotti di Pontedera in Toscana, l’ospedale di Città di Castello in Umbria, lo Stabilimento Umberto I nelle Marche e quello di Savigliano in Piemonte. Nel complesso, delle 871 strutture esaminate con il sistema di rappresentazione grafica chiamato treemap, ben 189 hanno ottenuto valutazioni alte o molto alte su tutte le aree per cui sono state valutate.
Parliamo del 21% del totale, un risultato che testimonia come una parte significativa del sistema riesca a garantire assistenza di buon livello.
Chirurgia oncologica: passi avanti ma restano zone d’ombra
La concentrazione dei casi complessi nei centri ad alto volume rappresenta uno degli obiettivi principali per garantire cure appropriate.
Qui i dati mostrano trend positivi alternati a segnali di allarme. Per quanto riguarda il tumore della mammella, la situazione è decisamente migliorata. Nel 2015 il 72% degli interventi veniva effettuato in strutture specializzate, percentuale salita al 90 per cento nel 2024. Stesso discorso per le neoplasie del colon, dove si passa dal 69 al 73%, per la prostata dal 63 all’82% o e per il polmone dal 69 all’83%.
Le resezioni pancreatiche mostrano un incremento dal 38 al 54%, ma il dato nazionale nasconde una realtà critica. Nelle regioni meridionali e nelle isole solo il 28% dei pazienti viene trattato in centri con volumi adeguati. Ancora più preoccupante la situazione degli interventi isolati sul retto, dove si registra addirittura un peggioramento. Dal 30% del 2023 si scende al 22%, con una distribuzione geografica che livella verso il basso gli standard assistenziali su tutto il territorio.
Tempi di intervento e appropriatezza clinica
La rapidità nell’affrontare le emergenze può fare la differenza tra la vita e la morte. Per l’angioplastica coronarica eseguita entro 90 minuti dall’infarto, il valore mediano nazionale raggiunge il 63%, in crescita rispetto al 57% o del 2020. Tuttavia le differenze territoriali restano marcate, con il Sud che fatica a tenere il passo. Sulla frattura del collo del femore negli anziani, l’intervento entro 48 ore sale dal 52 al 60%, ma diverse regioni meridionali rimangono sotto lo standard raccomandato.
Per quanto riguarda i parti cesarei primari, la percentuale è scesa dal 25 al 22% tra il 2015 e il 2024. Buona notizia, anche se permane un divario significativo: al Nord ci si avvicina al 15% suggerito dall’Organizzazione mondiale della sanità, mentre al Sud i valori mediani superano spesso il 25%. Le strutture pubbliche e quelle ad alto volume fanno registrare un ricorso inferiore al taglio cesareo.
Le episiotomie sono letteralmente crollate, passando dal 24 al 9% mentre i parti vaginali dopo cesareo aumentano dall’8 al 12%, segnale positivo ma con numeri ancora troppo bassi nelle regioni meridionali.
Cardiochirurgia e appropriatezza organizzativa
Nel campo cardiovascolare i ricoveri per infarto miocardico acuto diminuiscono del 21%, con una concentrazione della casistica che arriva al 90% nelle strutture ad alto volume. Stesso andamento per l’angioplastica coronarica. Sul bypass aortocoronarico emerge invece una forte frammentazione: i centri che superano la soglia dei 200 interventi all’anno sono scesi da 23 nel 2015 a 15 nel 2024, e la quota di pazienti trattati in queste strutture si è ridotta dal 41 al 29%. Guardando agli esiti, la mortalità a 30 giorni per bypass aortocoronarico isolato scende all’1,5%, ben sotto la soglia del 4, considerata accettabile. Per gli interventi sulle valvole cardiache il valore mediano della mortalità a 30 giorni arriva al 2 % , anche se persistono criticità in Calabria, Campania e Puglia.
Sul fronte dell’appropriatezza organizzativa, la colecistectomia laparoscopica in day-surgery registra un forte incremento, passando dal 22 al 39%. La degenza post-operatoria inferiore ai tre giorni mostra un miglioramento costante, con una mediana nazionale all’87% rispetto al 74% del 2015.
Diseguaglianze che pesano sul sistema
I numeri del Programma Nazionale Esiti confermano che quando vengono fissati obiettivi precisi e si monitora regolarmente l’andamento delle attività, le strutture ospedaliere riescono a progredire. Lo sottolineano i tecnici dell’Agenas, che però non nascondono il problema delle diseguaglianze territoriali.
Il divario Nord-Sud attraversa trasversalmente tutte le aree analizzate: dalla chirurgia oncologica complessa alla tempestività nell’accesso alle procedure salvavita, dall’appropriatezza clinica nell’area materno-infantile alla frammentazione della casistica in centri a basso volume. Questo quadro indica che migliorare è possibile, ma serve un impegno maggiore nelle zone dove le carenze risultano più evidenti.
Il rapporto mette in luce come alcune regioni riescano a garantire standard elevati mentre altre faticano a raggiungere livelli accettabili, creando un sistema a due velocità che penalizza i cittadini a seconda del luogo in cui vivono.
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