Quando si entra nella vecchiaia? Secondo l’Istat, visto il miglioramento dello stato di salute e istruzione, l’ingresso si è spostato dopo i 74 anni.
Più in salute e istruiti. Secondo l’Istat dobbiamo cominciare a ripensare l’età in cui si entra nella tanto temuta terza età. Quando si entra allora nella vecchiaia? Secondo l’ultimo report dell’istituto nazionale di statistica, Lo stato del Paese, il nostro ingresso si è spostato dopo i 74 anni. Ma questo progressivo rafforzamento del capitale umano fa pensare a ricadute positive su silver economy e partecipazione sociale.
Non serve più guardare all’età anagrafica fissa
A 65 anni, oggi, molte persone vivono in buona condizione di salute, lavorano, mantengono una vita attiva e partecipano pienamente alla società. L’aumento della longevità e il miglioramento delle condizioni sono ormai qualcosa di tangibile. Abbiamo visto spostarsi in avanti le principali tappe della vita, una dinamica che riguarda anche l’età in cui si diventa anziani. La soglia dei 65 ha rappresentato per molto tempo un’età storicamente legata all’uscita dal mercato del lavoro. Un modo per definire convenzionalmente l’ingresso nella vecchiaia.
Secondo l’ultimo rapporto Istat, partendo dai cambiamenti avvenuti nella popolazione anziana, serve un approccio dinamico per la determinazione della soglia della vecchiaia. Bisogna considerare non l’età anagrafica fissa, ma la speranza di vita residua.
Quando si entra nella vecchiaia? Dopo i 74 anni, non più a 65 anni
Secondo l’Istat, quindi, la definizione di vecchiaia è in evoluzione. Se nel 1952, a 65 anni, si prevedevano ancora 13 anni di vita per gli uomini e 14 per le donne, oggi, applicando lo stesso ragionamento sulla speranza di vita, la soglia di ingresso nella vecchiaia si sposterebbe a 74 anni per gli uomini e 75 per le donne. Questo dato rivoluziona la nostra comprensione dell’invecchiamento: mentre nel 2023 circa un quinto degli uomini e un quarto delle donne sono classificati come anziani con la definizione classica, queste percentuali si dimezzerebbero (11,4% e 14,2%) adottando la nuova soglia “dinamica”.
Ovviamente chiariscono dall’Istituto Nazionale di Statistica che l’intento di questo approccio non è negare le difficoltà legate all’invecchiamento, ma piuttosto reinterpretare il fenomeno alla luce delle migliori condizioni di salute. Ciononostante, è cruciale non dimenticare che l’incremento degli anni vissuti in buona salute non sempre progredisce allo stesso ritmo della longevità generale.
Il nuovo volto della vecchiaia: più istruzione, più opportunità
Un elemento distintivo delle attuali generazioni di anziani, secondo il rapporto, è il loro migliorato livello di istruzione. Dal 1951 a oggi, il panorama educativo della popolazione anziana ha subito una profonda evoluzione: l’80% degli ultrasessantacinquenni nel 1951 non aveva titoli di studio, mentre nel 2021 questa percentuale è scesa al 5,9%. Attualmente, la maggioranza degli anziani (62%) ha completato almeno la scuola media, un netto aumento rispetto al 15,7% del 1951.
Sebbene ancora in minoranza, i titoli di studio più elevati sono anch’essi in crescita continua, dall’1,1% nel 1951 all’8,8% dopo settant’anni. Questi progressi, secondo gli esperti, indicano un consolidamento del “capitale umano” nella fascia anziana, con possibili benefici per l’economia legata all’invecchiamento (silver economy) e per una maggiore partecipazione a livello sociale, culturale ed economico.
(Foto apertura: Alexandros Michailidis / Shutterstock.com)
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