Milioni di italiani intasano i reparti d’urgenza per casi non gravi. E intanto crescono i tempi di attesa
Diciannove milioni: questo è il numero di persone che ogni anno si riversano nei pronto soccorso italiani. Nel dettaglio, secondo l’indagine dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), circa sei visite su dieci riguardano situazioni che potrebbero essere gestite altrove. Per la maggior parte si tratta, infatti, di casi di febbre moderata, piccole ferite, mal di testa o sintomi influenzali. Disturbi che, di certo, non richiedono l’intervento immediato di una struttura d’emergenza, ma che contribuiscono ad aumentare i tempi di attesa, intasando gli accessi. Il fenomeno fotografa una sanità italiana alle prese con un cortocircuito organizzativo. Da un lato gli accessi al pronto soccorso continuano a crescere, dall’altro la medicina territoriale fatica a rispondere ai bisogni dei cittadini.
Il 60% dei pazienti di pronto soccorso può essere curato altrove
Secondo i dati di Agenas nell’ambito della quarta indagine sulle “Reti Tempo Dipendenti”, nel 2023 i pronto soccorso del Paese hanno registrato 18,582 milioni di ingressi. Di questi, oltre 2,2 milioni classificati con codice bianco, quello riservato alle situazioni non urgenti, mentre quasi 9 milioni hanno ricevuto un codice verde, quello per le urgenze gestibili anche in un ambulatorio medico. Significa che complessivamente il 60% degli accessi riguarda pazienti che, secondo il sistema di triage, potrebbero essere seguiti in contesti diversi dall’emergenza ospedaliera. Un dato che riapre la questione dei medici di famiglia, non sempre disponibile. Studi medici chiusi nei weekend, difficoltà a ottenere appuntamenti in tempi ragionevoli, mancanza di alternative territoriali accessibili. Così il pronto soccorso diventa l’unica via percorribile, anche quando non servirebbe.
Quando l’attesa diventa insostenibile
L’altro aspetto critico riguarda i tempi d’attesa. Nonostante il sistema preveda parametri precisi – da massimo quattro ore per i codici bianchi all’immediato intervento per i rossi – la realtà è ben diversa. Nel complesso, solo il 67% delle visite viene eseguito nei tempi previsti: un paziente su tre aspetta troppo prima di essere visitato. Le differenze regionali poi amplificano il divario: si passa dal 53% di prestazioni erogate in tempo della Sardegna all’86% della Basilicata. Entrando nel dettaglio, il 94% dei codici bianchi viene gestito entro le quattro ore stabilite. Per i codici verdi, che dovrebbero essere visitati entro due ore, la percentuale scende all’80%. Peggio ancora, solo il 35% dei codici gialli e il 40% degli arancioni – che richiederebbero un intervento entro un quarto d’ora – vengono effettivamente presi in carico nei tempi previsti.
Il peso sui ricoveri ospedalieri
Gli accessi al pronto soccorso non rappresentano solo un problema gestionale. Hanno un impatto diretto sull’intera macchina ospedaliera. L’indagine ha evidenziato che il 44% dei circa sei milioni di ricoveri annuali arriva proprio dai reparti d’urgenza. Quasi un paziente ricoverato su due passa dal portone del pronto soccorso. Questo flusso costante mette sotto pressione non solo i reparti d’emergenza ma l’intero sistema dei ricoveri programmati, con ricadute sulle liste d’attesa che già rappresentano uno dei principali problemi della sanità pubblica. Un circolo vizioso difficile da spezzare senza interventi strutturali.
Le altre reti dell’emergenza: progressi e criticità
L’analisi dell’Agenas non si limita al pronto soccorso ma fotografa anche le reti specializzate dell’emergenza, definite “tempo dipendenti” perché la rapidità d’intervento può fare la differenza tra la vita e la morte. Per la rete Trauma, l’accessibilità a una struttura attrezzata entro quindici minuti riguarda l’80% dei cittadini. Percentuale che sale all’89% per chi vive nei centri urbani ma scende al 52% nelle aree interne. Situazione simile per la rete cardiologica, dove la copertura a quindici minuti tocca il 78% a livello nazionale. Le difficoltà maggiori emergono nella gestione dell’ictus cerebrale. In questo caso solo il 61% della popolazione può raggiungere una struttura specializzata in un quarto d’ora. Per chi risiede nelle zone più isolate del Paese la percentuale crolla al 19%.
Le soluzioni possibili
Di fronte a questo quadro complesso, l’indagine indica alcune possibili vie d’uscita. In primo luogo, occorrerebbe rafforzare la medicina d’urgenza e i reparti semi-intensivi, che possono fungere da filtro tra il pronto soccorso e i reparti di degenza ordinaria. Ma la chiave di volta resta il territorio. I sette miliardi stanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la nuova sanità territoriale rappresentano un’opportunità da non sprecare. Le Case di Comunità e gli Ospedali di Comunità previsti dal piano potrebbero finalmente offrire quella rete di servizi intermedi capace di intercettare i bisogni di salute prima che si trasformino in accessi impropri al pronto soccorso. Contenere i ricoveri provenienti dal pronto soccorso entro il 30% del totale permetterebbe di rispettare meglio le liste d’attesa per gli interventi programmati, riequilibrando l’intero sistema ospedaliero.
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