Sono 120 i bambini e i ragazzi presi in carico dall’équipe coordinata da Fedele Salvatore. «Il lavoro di prossimità include cose che nessuno immagina e che riguardano anche la comunità»
«Siamo cresciuti vivendo, quasi adattandoci un po’, in questo clima di terrore che lui incuteva sia a mia madre che a noi figli» (Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio a 18 anni, nel 1997).
«È stato doloroso partecipare alle udienze, perché veniva ricostruito quello che era successo quella sera. In queste udienze si parlava e si leggeva l’autopsia sul corpo di mia madre. L’ho vissuto in tutto e per tutto» (Massimo di Pietro, orfano di femminicidio nel 2016, a 17 anni).
Dietro tante storie di femminicidio, di violenza domestica consumata tra le pareti di casa, ci sono le vite dei figli delle donne uccise. Storie sconosciute di bambini e bambine prima testimoni di violenza fisica e psicologica, e dopo orfani con un doppio lutto: la perdita della madre uccisa, spesso, per mano del padre. Storie, vite, che all’indomani del femminicidio della madre finiscono nel vortice delle immediate indagini, diventando invisibili. A colmare questo vuoto che rischia di aggravare il trauma degli orfani, c’è il Progetto Re.S.P.I.R.O. Rete di Sostegno per Percorsi di Inclusione e Resilienza con gli Orfani speciali, che da quattro anni è impegnato, insieme ad altri tre progetti nazionali nel Nord e Centro Italia, per creare una rete di sostegno per gli orfani di femminicidio. Un progetto, attivo nel Sud Italia e nelle Isole, che ha realizzato un proprio modello di intervento in emergenza e di presa in carico psicosociale di bambini e ragazzi.
«Il nostro lavoro è fondato su un modello che abbiamo definito multiagenzia, in cui intervengono più professionalità tutte con la caratteristica di essere ben formate sul trauma – spiega Fedele Salvatore, coordinatore nazionale del Progetto Respiro, finanziato dall’impresa sociale “Con i bambini” -. Il problema è che nelle prime ore tutti si concentrano sulle indagini. Noi ci adoperiamo perché ai ragazzi si dica la verità su quello che è accaduto, con linguaggi adeguati all’età, perché non ci sia una ri-traumatizzazione e una vittimizzazione secondaria del ragazzo. Spesso quello che si fa è tarato sui bisogni dell’adulto, non dei bambini. Noi interveniamo a tutela dell’orfano, con interventi che aiutino a creare anche una piccola rete di prossimità intorno a questi orfani, per non farli sentire soli, e alle famiglie caregiver affidatarie». Una rete di sostegno e prossimità che solleva inoltre le famiglie affidatarie, caregiver, dall’onere di dovere fare richiesta dei sostegni economici, previsti dalla Legge 4 del 2018, in un momento di fragilità e di lutto. Un aiuto che il progetto offre tramite la figura del tutor di resilienza, una persona formata per fare da ponte con le istituzioni, un punto di riferimento per l’orfano e la famiglia caregiver sia per la gestione degli aspetti legali e burocratici che per ricevere supporto psicologico.
«L’importante è accompagnarli, stare nella loro vita in questi pezzi di strada – aggiunge Fedele Salvatore, che segue da vicino gli orfani e le famiglie -. Il tema degli orfani diventa anche una questione educativa, che riguarda l’accudimento. Una volta, il nonno di un’orfana di 17 anni, emotivamente molto provato, mi ha detto: “Come faccio a fare sia il nonno che il padre? Ad esigere delle cose da lei? Vuole uscire, chi la va a prendere a mezzanotte o all’una?”. Questo per dire che ci sono tanti aspetti che vanno tenuti presenti nell’affidamento e aiutati». E prosegue: «La presa in carico, il lavoro di prossimità includono cose che nessuno immagina: interventi sul cerchio allargato delle conoscenze del ragazzo, come la scuola, la classe, per elaborare il lutto e per l’accoglienza dell’orfano nel gruppo; ma c’è bisogno anche di chi aiuti la comunità locale a stare vicino agli orfani e alle loro famiglie».
Vite che devono essere ricucite, nonostante quel “tatuaggio indelebile nella vita di tutti i giorni”, come lo definisce Massimo Di Pietro raccontando la sua storia sul podcast Respiro, realizzato nell’ambito del progetto omonimo. Orfani speciali, per gli avvenimenti che li hanno resi orfani, che non accettano questa definizione. «I ragazzi rivendicano una straordinaria normalità, anche perché troppo spesso gli rimane attaccata questa etichetta e loro vogliono una piena autonomia – chiosa Fedele Salvatore -. La parola ‘speciali’ serve nel gergo per specificare che sono portatori di bisogni speciali, ma non sono persone speciali».
Di giovani vite, vittime invisibili dei femminicidi, manca ancora una mappatura ufficiale che renda tempestivi gli interventi in loro aiuto e che renda più efficace la Legge 4 del 2018, un testo legislativo che è già un modello di riferimento unico a livello europeo. Intanto, nei prossimi quattro anni la rete di progetti finanziata da “Con i bambini” si rinnoverà con l’obiettivo di «dare allo Stato una procedura unica e condivisa di intervento per gli orfani», fa sapere Fedele Salvatore. Una rete che è impegnata anche sul fronte della prevenzione, dalle scuole elementari in poi. Perché salvando una madre, ci sono meno orfani “condannati all’ergastolo del dolore” (Giuseppe Delmonte, dal podcast Respiro).
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