Un impianto retinico wireless grande due millimetri abbinato a occhiali smart consente di tornare a leggere a chi ha perso la vista centrale. Lo studio internazionale su 38 pazienti segna una svolta nel trattamento dell’atrofia retinica, forma irreversibile di degenerazione maculare legata all’età.
Una speranza per cinque milioni di persone
La degenerazione maculare secca rappresenta oggi la principale causa di cecità irreversibile tra gli anziani. Nel mondo sono oltre cinque milioni le persone che convivono con questa patologia progressiva, che colpisce la macula, quella piccola area centrale della retina responsabile della visione nitida necessaria per leggere, riconoscere i volti e svolgere le attività quotidiane.
Quando la malattia evolve nella forma più grave, chiamata atrofia geografica, i fotorecettori della retina degenerano in modo irreparabile, lasciando i pazienti con un punto cieco al centro del campo visivo. Fino a oggi non esistevano terapie efficaci per restituire la capacità visiva perduta. Ma una nuova tecnologia sviluppata da un gruppo di ricercatori internazionali potrebbe cambiare radicalmente questo scenario.
Come funziona l’occhio bionico Prima
Il dispositivo si chiama Prima ed è frutto di vent’anni di ricerche condotte principalmente dal professor Daniel Palanker della Stanford University, che ha concepito l’idea iniziale mentre lavorava con i laser oftalmici. La soluzione ideata dal team americano sfrutta una caratteristica fondamentale dell’occhio umano: la sua trasparenza.
Il sistema si compone di due elementi distinti ma complementari. Il primo è un minuscolo chip wireless, delle dimensioni di appena due millimetri per lato, che viene impiantato chirurgicamente sotto la retina del paziente. Il secondo è un paio di occhiali dotati di una microcamera e collegati a un computer tascabile che si aggancia alla cintura. La camera cattura le immagini dell’ambiente circostante e le trasmette al computer, dove algoritmi di intelligenza artificiale le elaborano e le convertono in impulsi infrarossi.
Questi raggi vengono quindi proiettati direttamente sul chip impiantato nell’occhio, che li trasforma in stimolazioni elettriche capaci di attivare i neuroni retinici rimasti intatti. In pratica, il dispositivo sostituisce i fotorecettori naturali danneggiati dalla malattia, consentendo alle informazioni visive di raggiungere comunque il cervello attraverso le vie nervose conservate.
Risultati oltre le aspettative
La sperimentazione clinica, pubblicata sul prestigioso New England Journal of Medicine, ha coinvolto 38 pazienti ultrasessantenni in diciassette ospedali distribuiti in cinque nazioni europee, tra cui l’Italia. I numeri emersi dalla ricerca parlano chiaro: l’84% dei partecipanti è tornato a leggere lettere, numeri e parole attraverso l’occhio che aveva perduto la capacità visiva.
Tra i 32 pazienti che hanno completato dodici mesi di monitoraggio, l’81% ha ottenuto miglioramenti clinicamente rilevanti nell’acuità visiva. In media, chi ha ricevuto l’impianto è riuscito a leggere cinque righe in più sulla tabella optometrica standard rispetto al punto di partenza, con un progresso medio di 25 lettere. Alcuni pazienti, che prima dell’intervento non riuscivano nemmeno a distinguere la presenza della tabella, hanno recuperato una capacità di lettura sorprendente. Il 27 partecipanti su 32 hanno riferito di utilizzare regolarmente la protesi visiva anche a casa propria. Questi risultati sono stati resi possibili anche grazie alle funzioni digitali integrate nel sistema, come lo zoom per ingrandire i testi e la regolazione del contrasto per migliorare la leggibilità.
L’esperienza dei pazienti e il percorso di riabilitazione
Sheila Irvine, una delle pazienti britanniche che hanno partecipato alla sperimentazione presso il Moorfields Eye Hospital di Londra, ha raccontato la sua esperienza con parole toccanti. Prima di ricevere l’impianto descriveva la sua condizione come avere due dischi neri davanti agli occhi, con la parte esterna del campo visivo completamente distorta. Da appassionata lettrice, il desiderio di tornare a sfogliare un libro l’aveva spinta a iscriversi allo studio nonostante nervosismo ed eccitazione. Circa un mese dopo l’operazione chirurgica, quando il chip viene attivato per la prima volta, inizia un programma di riabilitazione intensiva che dura diversi mesi. I pazienti devono imparare a interpretare i nuovi segnali visivi, un processo che richiede impegno e costanza.
Sheila ha spiegato che più ore dedica all’uso del dispositivo, più cose riesce a fare: leggere le etichette sui barattoli, completare le parole crociate, immergersi nuovamente nella lettura. L’intervento prevede una vitrectomia, durante la quale viene rimosso il corpo vitreo dell’occhio per creare lo spazio necessario all’inserimento del microchip sotto la retina centrale. Si tratta di una procedura delicata ma ormai consolidata nella pratica chirurgica oftalmica.
Prospettive di diffusione della tecnologia
Lo studio multicentrico, battezzato PRIMAvera, si è svolto in Francia, Germania, Olanda, Regno Unito e Italia.
Il gruppo sanitario Upmc è stato il primo centro statunitense a impiantare il dispositivo nel 2020, in uno studio condotto dal professor Joseph Martel. Science Corporation, l’azienda produttrice specializzata in interfacce cervello-computer e ingegneria neurale, ha già presentato domanda di autorizzazione all’uso clinico sia in Europa che negli Stati Uniti sulla base dei risultati pubblicati.
Uno studio lungo 20 anni
Il percorso che ha portato a Prima è stato lungo: vent’anni di sviluppo, prototipi successivi, sperimentazioni sugli animali e uno studio preliminare sull’uomo hanno preceduto questa fase clinica più ampia. La validazione scientifica attraverso la pubblicazione sul New England Journal of Medicine rappresenta un passo cruciale verso la possibile approvazione regolatoria.
Se le autorità sanitarie daranno il via libera, migliaia di pazienti affetti da degenerazione maculare secca in fase avanzata potrebbero accedere a questa soluzione nei prossimi anni, recuperando almeno in parte l’autonomia perduta e migliorando sensibilmente la qualità della vita quotidiana.
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