Una piccola azienda californiana finanziata da alcuni dei nomi più influenti della Silicon Valley sta lavorando in segreto per far nascere il primo bambino geneticamente modificato. Un progetto che riaccende il dibattito su limiti etici, rischi scientifici che potrebbero cambiare la specie umana.
Un progetto sotto traccia
Per sei mesi nessuno ne ha parlato. Preventive, startup fondata all’inizio del 2024 a San Francisco da Lucas Harrington, scienziato formato nel laboratorio della premio Nobel Jennifer Doudna, ha lavorato nell’ombra di un ufficio WeWork. L’obiettivo è ambizioso: far nascere un bambino da un embrione modificato geneticamente per eliminare una malattia ereditaria.
Quando il Wall Street Journal ha iniziato a fare domande, l’azienda ha dovuto scoprire le carte e ha annunciato di aver raccolto 30 milioni di dollari. Tra i finanziatori spiccano nomi pesanti. Oltre Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, gli altri investitori includono Peter Thiel, Alexis Ohanian e Vitalik Buterin, tutti accomunati da una visione: l’editing genetico può essere il prossimo salto evolutivo controllato.
Il problema è che questo tipo di intervento è vietato. Modificare il DNA nella linea germinale umana (ovvero intervenire su embrioni, ovociti o spermatozoi in modo che le modifiche siano trasmissibili alle generazioni successive) è illegale negli Stati Uniti e in oltre 70 Paesi del mondo. La Convenzione di Oviedo sulla biomedicina, risalente al 1997, stabilisce la tutela dell’individuo rispetto al progresso scientifico proprio per evitare manipolazioni ereditarie irreversibili. Per aggirare questo ostacolo, Preventive starebbe valutando di operare in nazioni con normative più permissive, come gli Emirati Arabi Uniti.
Un precedente che non rassicura
Esiste un solo caso documentato di bambini nati da embrioni geneticamente modificati. Nel 2018 il biofisico cinese He Jiankui fece scalpore annunciando la nascita di tre bambine modificate per essere immuni all’HIV. L’esperimento fu condannato dalla comunità scientifica internazionale come prematuro e irresponsabile. He Jiankui venne processato e condannato a tre anni di carcere per esercizio illegale della professione medica. I bambini, di cui non è mai stata rivelata l’identità, secondo quanto dichiarato dallo scienziato starebbero bene, ma non esistono dati pubblici che confermino la loro effettiva condizione di salute o l’assenza di effetti collaterali a lungo termine.
Quello che all’epoca apparve come un atto isolato si ripresenta ora sotto forma di iniziativa imprenditoriale, sostenuta da capitali privati e dall’entusiasmo della Silicon Valley. Armstrong, secondo fonti citate dal Wall Street Journal, avrebbe descritto la tecnologia come un modo per generare figli meno inclini alle malattie cardiache, con livelli di colesterolo migliori e ossa più forti per prevenire l’osteoporosi. Oppure, Mulherin ha dichiarato di aver investito in Preventive perché interessato a ricerche che aiutino le persone a evitare malattie.
Harrington, fondatore e ceo della startup, ha negato di aver già identificato una coppia per avviare la sperimentazione, affermazione contraddetta da fonti anonime citate dalla stampa.
Dove la scienza incontra il marketing
Preventive non è sola. Attorno alla riproduzione assistita e alla genetica predittiva è nato un intero ecosistema di startup finanziate da facoltosi investitori tech.
Aziende come Orchid, Herasight e Nucleus Genomics offrono già oggi servizi di screening poligenico per embrioni prodotti con fecondazione in vitro. Promettono di prevedere il rischio di malattie, ma anche tratti come altezza, intelligenza o predisposizione a disturbi mentali. Herasight, per esempio, si rivolge esplicitamente a clienti benestanti con pacchetti che superano le decine di migliaia di dollari. Il linguaggio aziendale di queste realtà richiama quello del software: “ottimizzazione genetica”, “neo-evoluzione”, termini che traducono una visione del genoma come piattaforma modificabile e migliorabile. Eppure la scienza è ben lontana dall’offrire certezze. I “punteggi poligenici” su cui si basano queste predizioni hanno una capacità previsionale molto debole quando applicati al singolo individuo. Funzionano su grandi popolazioni, ma perdono significato quando si deve scegliere tra pochi embrioni della stessa coppia. Le differenze genetiche tra embrioni fratelli sono minime, e i modelli statistici non riescono a tenere conto di fattori ambientali, epigenetici e casuali che influenzano lo sviluppo. Anche gemelli identici, con lo stesso DNA, mostrano differenze significative in salute, altezza e personalità.
L’editing germinale aggiunge a questo un ulteriore livello di incertezza: gli effetti off-target, ovvero modifiche indesiderate che colpiscono punti imprevisti del genoma, possono causare cancellazioni, danni microscopici al DNA o creare embrioni mosaico, con cellule diverse tra loro.
Il rischio dell’eugenetica
Il rischio più evidente è quello dell’eugenetica. Se una startup privata può decidere quali caratteristiche selezionare, il confine tra prevenzione di malattie gravi e scelta di tratti estetici o cognitivi diventa labile. Si può iniziare con la fibrosi cistica o l’anemia falciforme, ma finire a selezionare altezza, colore degli occhi. Oppure, come sperano alcuni ricchi genitori di San Francisco, un QI elevato. Nonostante la pedagogia abbia dimostrato che il quoziente intellettivo non misura tutte le forme di intelligenza, l’idea di un “high-performing baby” (“bambino prodigio”, ndr) continua a circolare tra le famiglie benestanti della Silicon Valley, dove l’accesso alle università rappresenta uno status symbol.
Poi c’è la questione dell’accesso. Se queste tecnologie diventassero disponibili, chi potrebbe permettersele? Solo chi ha già i mezzi economici per pagare decine di migliaia di dollari per cicli di fecondazione in vitro, screening genetici e, eventualmente, editing embrionale. Si tratterebbe dell’ennesima disparità sanitaria su base economica, ma stavolta con un impatto potenzialmente ereditario. Una società che normalizza l’editing germinale rischia di perdere la capacità di includere chi non ha avuto accesso a questi trattamenti, riservando spazio e diritti solo a chi rientra nello “standard” geneticamente ottimizzato.
La biologia che diventa prodotto
Al momento Preventive non ha ancora ottenuto l’autorizzazione per impiantare embrioni modificati. L’azienda sostiene di voler concentrarsi sulla prevenzione di malattie gravi e di essere impegnata a pubblicare i risultati delle proprie ricerche, mantenendo trasparenza. Ma il modello di business resta quello di una startup privata che deve rispondere ai propri investitori, non necessariamente alla comunità scientifica o alla società. Del resto, il sito web di Preventive è scarno: poche righe, un indirizzo email, nessun dettaglio sui protocolli o sui risultati raggiunti. La mancanza di trasparenza alimenta sospetti e preoccupazioni. Soprattutto quando si tratta di intervenire sulla linea germinale umana con tecnologie che, per ammissione degli stessi esperti, non sono ancora abbastanza stabili.
L’entusiasmo dei miliardari tech per la “neo-evoluzione” rivela più una fede nel calcolo e nell’ottimizzazione che una comprensione profonda della complessità biologica. E’ bene ricordare che la vita non è un codice, gli embrioni non sono piattaforme e l’evoluzione non è un processo che si possa accelerare senza rischi.
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