Cresce il disagio sociale ed economico tra gli adolescenti italiani, soprattutto tra chi è nato e cresciuto in periferia
L’indagine promossa dalla ong ‘Con i Bambini’ insieme a Openpolis, in quattordici città italiane, mostra i dati relativi alla povertà minorile nel Paese. Un fenomeno silenzioso che riguarda ormai quasi il 14% dei giovani. Secondo le informazioni raccolte, nel corso del 2024 il 12% delle famiglie con figli minorenni ha attraversato momenti di grave difficoltà economica. Con punte ancora più gravi nelle grandi città, dove la percentuale ha superato il 16% e coinvolge in particolare i ragazzi che crescono nelle zone periferiche. Non è facile indagare sul fenomeno, piuttosto complesso, ma alcune considerazioni trovano conferma nei fatti e nei numeri. A partire dalla scuola e dal sistema educativo.
Quando la scuola diventa un traguardo irraggiungibile
L’abbandono scolastico rappresenta uno degli indicatori più eloquenti del disagio. Sebbene la quota di giovani che lasciano gli studi prima del diploma sia sotto la soglia del 10%, nelle zone più densamente popolate il fenomeno sfiora l’11%. Una generazione di ragazzi che perde fiducia nel sistema educativo e che non vede prospettive concrete per il futuro. Le differenze geografiche sono poi molto marcate. Mentre città come Milano, Firenze, Torino e Roma garantiscono il tempo pieno a oltre l’85% degli alunni delle scuole primarie statali, realtà come Reggio Calabria e Palermo si fermano a percentuali inferiori al 10%. Questa disparità riflette investimenti diversi, priorità differenti, attenzioni disomogenee verso il diritto all’istruzione.
La violenza: il linguaggio di chi non trova spazio
Un altro dell’indagine riguarda la diffusione di comportamenti violenti tra gli adolescenti. Spesso si tratta di ragazzi di seconda o terza generazione, nati e cresciuti in Italia, che vivono un conflitto con le famiglie d’origine, con una società che fatica a riconoscerli pienamente, con se stessi alla ricerca di un’identità. La violenza diventa così un linguaggio distorto, un modo per affermare la propria esistenza quando tutti gli altri canali sembrano preclusi. Non si tratta di giustificare questi comportamenti, ma di comprendere che dietro ogni gesto violento c’è un fallimento collettivo: della scuola, delle istituzioni, della comunità che non è riuscita a offrire alternative credibili e coinvolgenti.
Periferie: non solo luoghi, ma condizioni esistenziali
Marco Rossi Doria, presidente di Con i Bambini, sottolinea come la povertà minorile nelle periferie italiane si intrecci con disparità inaccettabili nell’accesso ai servizi educativi, culturali e sociali. Le analisi mostrano una disponibilità ridotta di spazi aggregativi, un’offerta formativa limitata e opportunità occupazionali scarse rispetto ad altre zone delle stesse città. Le periferie sono, in sostanza, dei concentrati di fragilità sociali e carenze infrastrutturali, dove si nascondono talenti inespressi. Ragazzi che potrebbero eccellere negli studi, nello sport, nelle arti, ma che non hanno accesso agli strumenti necessari per sviluppare le proprie capacità. Il divario economico si traduce così in un divario di opportunità che perpetua le disuguaglianze da una generazione all’altra.
Catania, Napoli e Palermo pagano il prezzo più alto
La situazione della povertà minorile è particolarmente critica in alcune città del Sud. A Catania, Napoli e Palermo circa il 6% delle famiglie vive in condizioni di potenziale disagio economico, una percentuale che si traduce in decine di migliaia di nuclei familiari che affrontano quotidianamente la difficoltà di garantire ai propri figli un presente dignitoso e un futuro possibile. In queste città, la povertà minorile si accompagna a una carenza strutturale di servizi che aggrava ulteriormente la condizione dei più giovani.
La strada per invertire la rotta
Contrastare la povertà minorile significa, anzitutto, facilitare le condizioni familiari attraverso sostegni economici mirati e garantire un accesso equo all’istruzione indipendentemente dal quartiere in cui si nasce. Rafforzando così il ruolo della scuola come luogo di inclusione e crescita. Ma serve anche costruire comunità educanti dove scuole, terzo settore, associazioni sportive, parrocchie, amministrazioni locali e famiglie lavorino insieme con un obiettivo comune. Infine, come sostiene Rossi Doria, sono necessarie politiche pubbliche capaci di generare non solo assistenza ma anche opportunità di lavoro e di coesione sociale.
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