Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che accedere senza consenso alle conversazioni private su WhatsApp, anche tra ex coniugi e a fini processuali, costituisce reato. Le implicazioni legali e le linee guida per l’utilizzo delle chat come prove in tribunale
La Cassazione: violare la privacy digitale è reato
Con una sentenza depositata il 5 giugno 2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che accedere senza autorizzazione alle chat WhatsApp di un partner o ex coniuge costituisce reato, anche se si è a conoscenza del codice di sblocco del dispositivo.
Il caso in questione riguardava un uomo che aveva estratto le conversazioni dal telefono della moglie per utilizzarle all’interno di una causa di separazione. La Suprema Corte ha confermato che questa condotta configura due reati ben precisi: l’accesso abusivo a sistema informatico e la violazione di corrispondenza.
Entrambe le violazioni comportano sanzioni gravi, con pene che possono arrivare fino a dieci anni di reclusione nei casi più gravi.
Le chat come corrispondenza tutelata
Secondo i giudici, le conversazioni scambiate tramite WhatsApp rientrano nella categoria della “corrispondenza” tutelata dall’articolo 15 della Costituzione, che garantisce la segretezza delle comunicazioni.
Ciò significa che leggere i messaggi presenti su un dispositivo altrui, anche se lasciato incustodito o condiviso in precedenza, equivale a una violazione della privacy. La Corte ha evidenziato che la riservatezza delle chat digitali deve essere protetta alla stessa stregua della posta cartacea o delle email, rafforzando così il principio per cui le nuove forme di comunicazione godono della stessa tutela delle tradizionali.
L’utilizzo di Whatsapp in ambito processuale
Un ulteriore aspetto toccato dalla pronuncia riguarda l’impiego delle conversazioni WhatsApp come prove all’interno dei procedimenti civili.
In particolare, l’Ordinanza n. 1254 del 18 gennaio 2025 aveva chiarito che i messaggi possono essere considerati prove documentali, ma la loro ammissibilità dipende da requisiti ben precisi. Non basta una semplice trascrizione. E’ necessario dimostrarne l’autenticità, preferibilmente tramite la presentazione del dispositivo originale o mediante una perizia forense che ne certifichi la provenienza e l’integrità. Solo così il materiale potrà essere effettivamente utilizzato a fini probatori.
Conseguenze penali
Accedere senza il consenso del titolare a un dispositivo altrui può avere ricadute penali significative.
Innanzitutto, si configura il reato di accesso abusivo a sistema informatico, previsto dall’articolo 615-ter del codice penale, che può portare a una condanna fino a tre anni di reclusione. A ciò si può aggiungere la violazione di corrispondenza, sanzionata dall’articolo 616, con pene fino a un anno di carcere o con una multa.
Nei casi più gravi, può essere contestata anche l’interferenza illecita nella vita privata, disciplinata dall’articolo 615-bis, che prevede una pena da sei mesi a quattro anni. In situazioni estreme, ad esempio se l’accesso è avvenuto con violenza o minaccia, la condotta potrebbe addirittura rientrare nell’ambito del reato di rapina.
Come acquisire legalmente le chat nei processi
Per chi intende utilizzare messaggi WhatsApp come elementi di prova in un processo, esistono modalità legali ben definite.
È possibile, ad esempio, chiedere al giudice l’acquisizione dei contenuti del dispositivo, anche in via d’urgenza, evitando in ogni modo di procedere in autonomia e senza autorizzazione. Qualsiasi accesso non autorizzato rischia di rendere inutilizzabile la prova e, al tempo stesso, di esporre il soggetto a procedimenti penali. Per garantire l’effettiva validità del materiale probatorio, è consigliabile presentare il dispositivo fisico o affidarsi a una perizia informatica. Quest’ultima può attestare la provenienza dei messaggi, la loro integrità e l’assenza di manipolazioni.
Solo in questo modo si può garantire un utilizzo legittimo dei contenuti digitali in ambito giudiziario.
La privacy al tempo delle app di messaggistica
La pronuncia della Cassazione rappresenta un passaggio importante nella definizione dei confini della privacy digitale. In un’epoca dominata dalla comunicazione online, la tutela delle conversazioni su piattaforme come WhatsApp assume un valore cruciale. Le app di messaggistica non sono spazi privi di regole: la loro natura digitale non le rende meno degne di protezione. Al contrario, proprio perché sempre più utilizzate per scambi personali, familiari e anche professionali, richiedono una difesa adeguata contro accessi impropri.
Nel corso degli ultimi anni, la giurisprudenza italiana ha compiuto importanti passi in questa direzione, equiparando la lettura non autorizzata dei messaggi digitali a una violazione della corrispondenza, anche nel caso in cui l’accesso avvenga tra coniugi o in contesti di separazione.
L’intento è quello di rafforzare la cultura del rispetto per la sfera privata, anche quando si tratta di relazioni in crisi o situazioni conflittuali.
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