Il sistema previdenziale italiano sotto pressione demografica penalizza ancora la figura femminile
Secondo lo studio “Pensions at a Glance 2025”, l’Italia è tra i paesi che affronteranno la trasformazione demografica più intensa nei prossimi venticinque anni. Il rapporto tra anziani e popolazione attiva crescerà, infatti, in modo significativo. Entro il 2050, per ogni cento persone in età lavorativa si conteranno oltre venticinque over 65 in più rispetto ad oggi. Un incremento che la posiziona accanto a Grecia, Polonia, Slovacchia e Spagna. Inoltre, la popolazione italiana in età lavorativa è destinata a contrarsi drasticamente: più del 35% nei prossimi quattro decenni. Un crollo demografico condiviso con pochi altri Stati, tra cui Lettonia, Lituania e Polonia. Peggio di Giappone e Spagna, che dovrebbero registrare diminuzioni intorno al 30%. Questa evoluzione demografica si traduce in un innalzamento progressivo dell’età pensionabile. Sulla base delle normative attualmente in vigore, l’Italia sarà tra i Paesi con le soglie di uscita dal lavoro più elevate dell’intera area OCSE. Si parla di valori che raggiungeranno o supereranno i settant’anni, in compagnia di Danimarca, Estonia, Paesi Bassi e Svezia.
OCSE: le donne pagano il conto più salato
L’Italia presenta caratteristiche peculiari. Oltre tre quinti dei beneficiari di pensioni di base, quelle assistenziali o minime, sono donne. Al contrario, quando si guarda alle pensioni contributive legate alla propria carriera lavorativa – escludendo quindi le pensioni di reversibilità – la presenza femminile si riduce drasticamente. Questa sottorappresentazione accomuna il nostro Paese a Belgio, Grecia, Lussemburgo, Spagna, Corea e Giappone. Il cuore del problema risiede nella durata delle carriere. Nel 2023, le donne italiane presentavano una carriera lavorativa attesa inferiore di oltre nove anni rispetto agli uomini, uno dei gap più ampi dell’area OCSE. Questo si riflette direttamente sugli assegni: circa dieci punti percentuali separano la quota di donne anziane dalla percentuale di quelle che percepiscono una pensione contributiva propria, uno scarto simile a quello greco. Spagna, Belgio e Lussemburgo fanno anche peggio, con differenze intorno ai quindici punti, mentre Giappone e Costa Rica arrivano a venticinque.
Età di pensionamento: un paradosso italiano
Un dato apparentemente controintuitivo riguarda l’età media di accesso alle pensioni contributive. In Italia, come in Francia, Norvegia e Spagna, le donne iniziano a percepire la pensione in media circa un anno dopo gli uomini. Questo fenomeno è spiegato dalla presenza di canali di uscita anticipata legati a lavori usuranti o a carriere lunghissime, settori tradizionalmente a prevalenza maschile. Chi ha svolto mansioni gravose o ha raggiunto anzianità contributive elevate può lasciare il lavoro prima dell’età ordinaria, mentre molte donne, con carriere più brevi o discontinue, devono attendere il requisito anagrafico standard. L’OCSE sottolinea come regole di accesso differenziate per genere, anche quando apparentemente favorevoli, finiscano per ampliare il divario di genere nelle pensioni sul lungo periodo. La raccomandazione è chiara: eliminare le soglie anagrafiche più basse per le lavoratrici, uniformando i requisiti e favorendo invece politiche che sostengano la continuità occupazionale femminile durante tutto l’arco della vita lavorativa.
La povertà nella terza età
Le conseguenze di questi squilibri si misurano anche in termini di povertà. Le donne anziane presentano tassi di povertà significativamente più elevati rispetto agli uomini, un fenomeno particolarmente marcato nei contesti in cui la previdenza pubblica costituisce la fonte principale di reddito pensionistico. L’Italia rientra pienamente in questa categoria, con un sistema che dipende in larga misura dal primo pilastro statale e con una previdenza complementare ancora limitata nella diffusione e negli importi erogati. Il divario di genere nelle pensioni non è solo una questione di equità formale, ma incide concretamente sulla qualità della vita di milioni di persone. Un assegno inferiore significa minore capacità di spesa, maggiore vulnerabilità economica, dipendenza da altre forme di sostegno familiare o pubblico. In un Paese che invecchia rapidamente, dove la componente femminile tra gli ultra-ottantenni è predominante, il tema assume rilevanza sociale e sanitaria, oltre che previdenziale.
TUTTE LE ULTIME NOTIZIE SU SPAZIO50.ORG
© Riproduzione riservata
