Un italiano su dodici mantiene l’attività professionale anche dopo il pensionamento
Dall’ultimo Rapporto annuale dell’Inps emerge che la ‘dimensione’ dei pensionati lavoratori è “sempre più rilevante” arrivando a interessare le 124mila unità. Questo perché l’età media di pensionamento di chi sceglie di continuare l’attività lavorativa si attesta sui 62,9 anni, cifra leggermente inferiore rispetto ai 63,9 anni di coloro che decidono invece di dedicarsi completamente al riposo. Questo dato suggerisce che l’uscita precoce dal mercato del lavoro formale non sempre coincide con l’abbandono definitivo dell’attività professionale.
Il profilo dei pensionati lavoratori
Il rapporto delinea un identikit piuttosto preciso dei pensionati lavoratori che scelgono di rimanere attivi anche dopo aver raggiunto i requisiti per il pensionamento. Questa categoria rappresenta l’8,5% del totale dei beneficiari di pensione in Italia. Si tratta prevalentemente di uomini nati intorno al 1950 e negli anni immediatamente successivi. Il 68% beneficia di un trattamento pensionistico anticipato, avendo quindi la possibilità di accedere alla pensione prima dell’età ordinaria di vecchiaia. L’età media di pensionamento di chi sceglie di continuare l’attività lavorativa si attesta sui 62,9 anni, leggermente inferiore rispetto ai 63,9 anni di coloro che decidono invece di dedicarsi completamente al riposo.
Le categorie professionali più propense al doppio ruolo
Non tutte le categorie professionali mostrano la stessa propensione a continuare l’attività dopo il pensionamento. Il fenomeno presenta significative differenze settoriali che riflettono le diverse caratteristiche organizzative e culturali dei vari ambiti lavorativi. Il pubblico impiego registra la percentuale più bassa di pensionati che continuano a lavorare, con appena lo 0,9% dei dipendenti della Pubblica Amministrazione. Questa cifra riflette probabilmente le maggiori rigidità normative e organizzative del settore pubblico, oltre a regimi pensionistici generalmente più strutturati.
Professionisti e autonomi: le categorie che non vanno mai in pensione
Anche nel settore privato dipendente la propensione a mantenere un’attività lavorativa post-pensionamento rimane contenuta, attestandosi al 5,5%. Ben diversa la situazione per altre categorie professionali, dove il fenomeno assume proporzioni decisamente più rilevanti. Tra i professionisti, la percentuale di pensionati lavoratori raggiunge il 27,4%. All’interno di questo gruppo, spiccano particolarmente gli agenti di commercio iscritti all’Enasarco, che rappresentano il 44% del totale, e i medici dell’Enpam, che costituiscono il 38%. Significative anche le percentuali tra i lavoratori agricoli, artigiani e commercianti. Queste categorie sembrano favorire naturalmente la prosecuzione dell’attività anche in età avanzata.
La continuità professionale dopo il pensionamento
Un aspetto interessante emerso dall’analisi riguarda la tendenza dei pensionati lavoratori a mantenere una sostanziale continuità con le professioni precedentemente esercitate. Il 79% degli ex artigiani e commercianti mostrano la fedeltà più alta al proprio settore originario. Anche tra gli ex lavoratori agricoli si registra una forte propensione a rimanere nell’ambito del lavoro autonomo. Diverso il comportamento degli ex liberi professionisti, che dopo il pensionamento orientano le proprie scelte lavorative principalmente verso il lavoro dipendente. Nel 66% dei casi si tratta probabilmente di attività di natura consulenziale, che permettono di valorizzare le competenze professionali accumulate in una forma più flessibile e meno impegnativa. Il restante 28% si dirige invece verso l’area artigiano-commerciale, probabilmente alla ricerca di nuove sfide professionali.
Dopo i 69 anni lavorano i più ricchi
La correlazione tra importo della pensione, età di pensionamento e propensione a continuare l’attività lavorativa presenta caratteristiche apparentemente contraddittorie. Quando l’età di pensionamento è relativamente bassa, la probabilità di continuare a lavorare risulta più elevata tra chi percepisce pensioni di importo modesto. In questi casi, la motivazione economica sembra prevalere, spingendo i pensionati a integrare un trattamento pensionistico ritenuto insufficiente con i redditi derivanti dalla prosecuzione dell’attività lavorativa. La situazione si ribalta quando l’età al pensionamento supera i 69 anni. In questi casi, la probabilità di continuare a lavorare diventa più alta proprio tra chi percepisce pensioni di importo elevato. Dunque, superata una certa soglia anagrafica, le motivazioni per continuare l’attività professionale diventano prevalentemente di natura non economica, legate piuttosto alla realizzazione personale e al mantenimento di un ruolo sociale attivo.
Le implicazioni sociali ed economiche del fenomeno
Il fenomeno dei pensionati lavoratori è rilevante non solo dal punto di vista individuale, ma anche per le sue implicazioni più ampie sul sistema economico e sociale del Paese. Da un lato, la prosecuzione dell’attività lavorativa oltre l’età pensionabile può rappresentare una risorsa preziosa per il sistema economico, che beneficia dell’esperienza e delle competenze accumulate da questi lavoratori. Dall’altro, pone questioni importanti relative all’equità intergenerazionale e alle opportunità di accesso al mercato del lavoro per le generazioni più giovani. La tendenza sembra destinata a consolidarsi nei prossimi anni, sostenuta dall’allungamento dell’aspettativa di vita, dal miglioramento delle condizioni di salute della popolazione anziana e dall’evoluzione verso forme di lavoro sempre più flessibili e meno fisicamente impegnative.
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