Dal primo ottobre la Cina introduce il visto K, un nuovo permesso di soggiorno semplificato per laureati in discipline scientifiche e tecnologiche. Una mossa strategica che arriva mentre Washington innalza le barriere per i lavoratori stranieri qualificati.
Il visto K: porta aperta della Cina mentre Washington alza i muri
Dal primo ottobre 2025 la Cina introduce il “visto K”, un nuovo strumento pensato per facilitare l’ingresso nel Paese di giovani laureati nelle discipline Stem – scienza, tecnologia, ingegneria e matematica.
Il nuovo permesso di soggiorno prevede procedure semplificate, soggiorni prolungati, ingressi multipli e, soprattutto, elimina l’obbligo della lettera d’invito da parte di un’azienda. Una svolta significativa per un Paese dove storicamente gli stranieri hanno sempre faticato a ottenere residenze permanenti. E dove le università e le tech company hanno tradizionalmente puntato su talenti cinesi. L’annuncio del visto K era stato fatto prima della decisione di Donald Trump di imporre una tassa annuale da 100.000 dollari sui visti H-1B, lo strumento utilizzato dalle aziende americane per assumere lavoratori stranieri altamente qualificati.
Prima delle nuove disposizioni, questo visto costava tra i 1.500 e i 2.400 dollari. La Casa Bianca ha giustificato il provvedimento sostenendo che molte aziende licenziano personale statunitense per poi sostituirlo con lavoratori H-1B. La misura, entrata in vigore il 21 settembre 2025, ha generato confusione e preoccupazione tra le aziende della Silicon Valley, nonostante le rassicurazioni dell’amministrazione americana, secondo cui la tassa non si applica ai titolari di visto esistenti.
La corsa tecnologica tra due superpotenze
Pechino sta investendo cifre considerevoli nel settore della ricerca e dello sviluppo. Nel 2025 il budget centrale cinese per scienza e tecnologia ha raggiunto 398,12 miliardi di yuan, circa 55 miliardi di dollari, con un incremento del 10% rispetto all’anno precedente. A marzo la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma ha annunciato un fondo di venture capital destinato a mobilitare investimenti per oltre 130 miliardi di dollari su robotica, intelligenza artificiale e tecnologie all’avanguardia.
Gli sforzi si concentrano in particolare sui semiconduttori e sulle biotecnologie, settori in cui la Cina accusa ancora un ritardo rispetto agli Stati Uniti.
Il Paese asiatico punta a diventare leader globale nell’intelligenza artificiale entro il 2030, come stabilito dal piano strategico governativo. Negli ultimi anni Pechino ha offerto agli scienziati stranieri pacchetti di incentivi economici e riduzioni della burocrazia. La Repubblica Popolare ha anche attratto ricercatori che lavoravano negli Stati Uniti, beneficiando delle politiche restrittive americane in materia di immigrazione.
Strategie per attrarre competenze
Gli approcci delle due superpotenze stanno ridefinendo la competizione globale per attrarre giovani talenti. Il visto H-1B americano, utilizzato principalmente da professionisti indiani, difficilmente verrà sostituito dal nuovo visto K cinese. Tuttavia, alcuni analisti ritengono che l’amministrazione Trump potrebbe usare le recenti modifiche sui visti H-1B come leva nei colloqui sul commercio con l’India, allentando nei prossimi mesi alcune delle restrizioni imposte.
La definizione di “giovani talenti” adottata dalla Cina appare volutamente vaga. Inoltre non sono ancora stati resi pubblici tutti i dettagli del nuovo visto K.Questo lascia margini di incertezza sull’impatto reale della misura.
George Chen, che lavora per la società di consulenza The Asia Group con sede a Washington, ha messo in guardia dalla reale portata del provvedimento cinese. Secondo Chen, il visto K mira ad attrarre esperti stranieri ma l’obiettivo è farli contribuire all’agenda di autosufficienza tecnologica del Paese. Le autorità cinesi hanno dichiarato che lo sviluppo della Repubblica Popolare richiede la partecipazione di talenti da tutto il mondo e che questo sviluppo offre loro opportunità concrete.
Resta il fatto che trasferirsi in modo permanente in Cina continua a essere complesso per gli stranieri. Nonostante i recenti sforzi per semplificare l’accesso al mercato del lavoro high-tech.
Una partita che si gioca su più fronti
La competizione tra Stati Uniti e Cina per la supremazia tecnologica va oltre la semplice questione dei visti. Washington ha tagliato fondi federali per la ricerca e preso di mira le università, mentre Pechino ha intensificato gli investimenti nei settori strategici. Secondo un’analisi del centro studi francese Yole Group, entro il 2030 la Cina potrebbe diventare il principale produttore mondiale di semiconduttori. Aziende come Huawei si sono dimostrate capaci di sviluppare chip molto potenti nonostante le restrizioni americane sulle esportazioni di tecnologia avanzata.
Inoltre, il successo recente di DeepSeek dimostra come Pechino stia trovando soluzioni alternative per aggirare i limiti imposti dalle sanzioni occidentali. Gli approcci divergenti delle due superpotenze stanno creando un nuovo scenario nella competizione globale per l’innovazione tecnologica, con implicazioni che vanno ben oltre i confini dei rispettivi Paesi.
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